È nel live che le emozioni vengono raccolte e consegnate ai posteri, è il contatto con la gente che glorifica o demolisce. È nel live che un gruppo si dimostra per quello che è. È la folla il pollice dell'imperatore.
I tre gladiatori sono nell'arena: Keith Emerson accarezza i tasti e maltratta le tastiere, in un'estasi sonora che ha radici classiche e sviluppi immaginifici; Carl Palmer picchia, cava dalla sua batteria l'anima stessa, contraltare dei voli pindarici delle tastiere; Greg Lake sbraita testi a volte sensati, spesso strampalati, cercando di arginare i due dirompenti colleghi con il suo basso quasi rassicurante. In tre, la più classica delle formazioni del progressive.
I concerti degli Yes erano perfetti, ridondanti come la loro musica; i live dei Genesis erano teatro, istrionici come il loro leader; quelli dei Pink Floyd erano (e sarebbero stati ancor più) spettacoli totali, esperienze uniche di un tempo che fu. I concerti di Emerson, Lake & Palmer erano semplicemente travolgenti: magari rozzi, magari approssimativi, ma travolgenti.
Tale doveva essere la loro testimonianza, inevitabilmente. E allora si optò per un atto di coraggio. Tre ellepì da consegnare alla storia sono tanti, cavolo; ma forse no, forse erano inevitabili... Tre ellepì proiettarono i tre nelle classifiche di mezzo mondo, ancora una volta.
"Welcome back my friends to the show that never ends", diceva Lake nell'immensa "Karn Evil 9". E questo show infinito vide finalmente la luce, nell'agosto del 1974, dopo mesi di concerti trionfali: le 350.000 anime in California condivise con i Deep Purple, e poi le folle oceaniche di Wembley.
Non ha cambiato la musica, non ha stravolto un bel niente; e neppure ha cambiato la mia vita. Eppure è unico. Immane, magniloquente, finanche esagerato.
La scaletta è quasi improvvisata, i solchi vengono riempiti alla nausea, dilatando l'impossibile e spezzando ciò che si può spezzare... E se il primo disco presenta una canonica prima facciata con tre brani (una bellissima "Hoedown" dall'album "Trilogy" e poi, da "Brain Salad Surgery", la meravigliosa "Jerusalem" e l'apoteosi tastieristica della "Toccata", sorretta da una batteria indemoniata), nella seconda "Tarkus" non ci sta. O meglio, non si vuole che ci stia: e allora la si interrompe (deleteria azione per una suite, in vero): "Confusion will be my Epitaph", ammette Lake. In fin dei conti, l'omaggio ai King Crimson è un omaggio a se stesso. E la confusione è ciò che rende immortale questo colosso.
La terza facciata -ovvero un altro disco addirittura- completa ciò che andava completato, in un impeto di Emerson che sfocierà nella celeberrima cavalcata di Palmer per una suite che già era storia. Poi, finalmente, viene il turno del buon Lake. E allora "Take A Pebble" è un medley della sua soavità: "Still... you turn me on" (da "Brain Salad Surgery", con un Emerson quasi dolce al piano), e poi "Lucky Man", dall'album d'esordio, in cui il cantante per una volta si libra in volo con la sua chitarra acustica. C'è spazio anche per una conclusione (molto emerson-palmeriana, in vero), intervallata da una piccola improvvisazione di Emerson... restavano liberi 12 minuti, insomma, andavano pur riempiti: degna di nota la batteria jazz di Palmer, gran gran batterista davvero. Il secondo ellepì si chiude con un secondo medley, "Jeremy Bender/The Sherif" (rispettivamente "Tarkus" e "Trilogy", con in gran mostra ancora l?estrosissimo tastierista, qui agli organi).
Manca un ellepì. Tanto vale strafare. "Karn Evil 9", prima impressione. E poi la seconda e la terza. Tanto basta a riempirlo. Emerson ancora tiranno nella sua reggia d'avorio, Palmer stupendamente dirompente, Lake aggressivo e trascinante. La meravigliosa suite di "Brain Salad Surgery" perde in perfezione rispetto alla versione in studio, ma diviene l'emblema del delirio di un gruppo mai realmente considerato per quello che è: se è vero che Emerson, Lake e Palmer sono prolissi, esagerati, monumentali, è ver'anche che il genere stesso portato all'esasperazione incarna questo loro modo di intendere la musica. E questi tre alfieri sono quindi espressione tra le più meravigliose di quel mondo che regalò cinque anni inarrivabili nella storia della musica.
Ladies and Gentlemen, SEE THE SHOOOOOOOOOOOOOOOOOOW!!
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