La crepuscolare, brumosa "When Shadows Grow Longer" apre uno dei dischi più sottovalutati (ma meglio realizzati) degli anni Novanta in ambito doom metal, "Songs Of Moors And Misty Fields" dei tedeschi Empyrium. E' un inizio dal sapore medievale, portato avanti da flauto, violoncello, piano e voce, di breve durata (un minuto e mezzo) ma che già mette in chiaro la poetica dei nostri: l'esaltazione del Romanticismo, del titanismo, degli amori impossibili, della sofferenza e della morte viste come compagne della vita al pari della gioia e dell'amore; è un'ode al Sublime, a tutto ciò di immenso in natura che impaurisce e al contempo affascina l'uomo.
Quando "The Blue Mists Of Night" inizia la sua lunga cavalcata (fatta di continui cambi di tempo e di umore, rallentamenti poetici e rabbiose accelerazioni) sembra di essere davanti a quei paesaggi tanto cari a Friedrich: imponenti e maestose distese senza fine fatte da montagne innevate, con la nebbia e le nuvole in basso a disegnare ipotetici e soffici prati. Non c'è foga e irruenza, non ci sono astio e violenza, c'è solo un'urgenza contemplativa senza pari, una stasi permanente creata dalla paura e dal terrore che certe ampie e sconfinate visioni danno.
"Mourners", lentissima come tradizione doom vuole, allo stesso tempo fiera e sommessa (grazie anche a una voce di chiara matrice black, quella di Markus Stock, uno screaming raggelante che sa anche tramutarsi, come già sentito nelle tracce precedenti, in un clean teatrale e impostato), è un'altra visione del pittore sopraccitato. Una lenta fila di persone, in religioso silenzio, chine e piangenti, procede sommessamente verso quello che resta di un'abbazia gotica posta a ridosso di un cimitero. Una vaga foschia e un cielo livido fanno da contorno a un ambiente quieto, dove la neve ricopre il terreno e le lapidi invecchiate dal tempo e gli alberi, dai rami adunchi e rinsecchiti, paiono ormai aver perso le speranze di rivedere la primavera.
"Ode To Melancholy", una delle tracce più teatrali del disco, è un bagno nella malinconia più pura, un canto innalzato a un sentimento comunissimo, che attanaglia tutti noi ma che non necessariamente deve essere inteso negativamente. Musicalmente c'è poco da dire, il brano segue fedelmente i caratteri sinora descritti nei precedenti brani: lento, drammatico, a tratti quasi bucolico, cangiante nell'umore come una giornata primaverile.
Si giunge quindi al primo dei due pezzi migliore di tutto il lotto, la classicheggiante "Lover's Grief", un'ode agli amori tristi, un cantico che in certi momenti mi riporta alla mente il leopardiano "Canto Notturno di un Pastore Errante dell'Asia", dove uno sconsolato pastore chiede risposte impossibili a un astro silenzioso, che sorge la sera e, instancabilmente, percorre sempre lo stesso tratto "Ancora non sei tu paga di riandare i sempiterni calli?" chiede l'uomo, che poi riflettendo sui mali umani e sulla sua vita, si chiede se mai lei possa essere in grado di aiutarlo. "(...) Tu forse intendi questo viver terreno, il patir nostro, il sospirar, che sia; che sia questo morir, questo supremo scolorar del sembiante, e perir della terra, e venir meno ad ogni usata, amante compagnia". La conclusione del pastore è amarissima e cinica, sommessa come il finale della canzone, affidato a un notturno pianoforte: "forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale".
La conclusione di questo capolavoro è affidata a "The Ensemble Of Silence", la summa di quanto proposto dai tedeschi nelle cinque tracce precedenti. L'inizio è un timido albeggiare, un risveglio tranquillo accompagnato dal flauto silvestre, da una chitarra classica e da una voce sussurrante che ha dell'etereo. Lentamente il pathos sale, fino all'epica e drammatica esplosione sonora intorno al secondo minuto, dove un turbinio di chitarre elettriche, violini, strumenti a fiato e l'avvicendamento screaming/clean avvolgono e travolgono l'ascoltatore, che non può che rimanere impassibile e lasciarsi affondare in queste appassionate e appassionanti melodie. Eccezionale il break alla metà del brano, un magnifico e malinconicissimo dipinto nuovamente ad opera di Friedrich, un monaco che, assorto nei suoi pensieri, osserva placidamente il mare che gli si apre davanti, una minuscola figura che non partecipa al divenire della natura, limitandosi ad accettarne l'immensità.
"Songs Of Moors And Misty Fields" è realmente un lavoro eccelso, emozionante e toccante, una perfetta traduzione dei temi romantici espressi da tanti artisti (pittori, letterati, musicisti) nell'Ottocento. Ho citato in questa lunga recensione due di quelli che più ammiro e apprezzo, ma sono convinto che un disco come questo sia dotato di una forza espressiva talmente forte da poter coinvolgere ogni tipo di ascoltatore, trascinandolo in un viaggio attraverso immagini, scritti, musiche che gli appartengono e che più sanno commuoverlo.
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