Gli Enchant sono una prog band californiana, formatasi verso la fine degli anni ’80, che ha all’attivo ormai sette dischi ed un live. “A Blueprint of the World”, uscito nel 1993, è il loro disco d’esordio e probabilmente il loro lavoro migliore. L’album viene prodotto sotto l’egida del maestro Steve Rothery, che suona tra l’altro come ospite in un paio di brani. L’influenza dei Marillion però non si sente molto e, se proprio si vuole indicare qualche derivazione, il loro sound risulta più un incrocio tra i Rush (di Moving Pictures, per intendersi) e un AOR più tecnico in stile Asia. Il risultato è comunque un progressive rock incentrato sulla melodia, con brani lunghi ed articolati.

I passaggi strumentali sono notevoli, ma nessuno strumento sovrasta l’altro e questo rende l’impasto sonoro decisamente gradevole. Ci sono però due lievi difetti che secondo me penalizzano questo lavoro: il volume troppo alto delle parti di batteria e le distorsioni della chitarra troppo “pulite” e poco incisive. C’è da dire comunque che questi difetti non offuscano la bravura ed ispirazione dei due musicisti in questione. Doug Ott è infatti un ottimo chitarrista che sa ampiamente rifarsi sotto tutti gli altri aspetti. E il batterista Paul Craddick merita un plauso particolare per essere davvero molto vario e creativo, riuscendo a rendere scorrevoli anche le ritmiche più complesse. Il cantante Ted Leonard è un altro punto di forza del gruppo, con il suo approccio romantico e quasi mai aggressivo, la sua voce nasale e un timbro caldo che gioca su tonalità alte pur senza eccedere negli acuti. Le tastiere infine, sempre misurate e mai banali, prediligono suoni cristallini in puro stile new prog anni 80 (Marillion, IQ).

Il disco è composto da nove composizioni. Forse la più debole è proprio l’opener “The Thirst”, che però mette in evidenza il cantato ispirato di Leonard. Ma gli Enchant sfornano anche dei brani di grandissimo livello, come la dolce e malinconica “Catharsis”, uno specchio dell’anima, nel suo alternare momenti soffusi e lirici a un ritornello più ritmato ed orecchiabile, ma assolutamente non banale. “Oasis” è invece più aggressiva e veloce, trascinata da riff di chitarra più duri e interessanti fughe di tastiere. Il quarto brano “Acquaintance” è una romantica ballata, che parte con un delicato arpeggio di chitarra per acquistare maggiore dinamicità nel brillante refrain. Il disco procede con lo strumentale “Mae Dae”, rimando ai già citati Rush, e i successivi “At Death’s Door” e “East of Eden”, dei buoni pezzi con interessanti spunti ritmici.

Le due canzoni che chiudono l’album, “Nighttime Sky” ed “Enchanted”, sono le più articolate e progressive del lotto. Mescolando raffinate fughe strumentali ai caratteristici passaggi melodici, in una varietà impressionante di suoni e stati d’animo. Ma la peculiarità degli Enchant è proprio quella di riuscire a rendere freschi e quasi radiofonici anche dei brani tecnicamente complessi e variegati. Nel corso degli anni il gruppo ha sempre proposto più o meno la stessa formula, migliorando il proprio sound, ma senza grosse differenze stilistiche. I successivi lavori sono tutti apprezzabili, anche se probabilmente la qualità complessiva di questo disco non è più stata raggiunta.  

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