L’attesa di un nuovo album più lunga, discussa e sentita in ambito prog/alternative è sicuramente quella dei Tool, ormai destinata a toccare inevitabilmente il decennio; ma nel frattempo se ne sono consumate altre: l’anno scorso i Fates Warning sono tornati con un nuovo album a 9 anni di distanza dall’ultimo e nei primi mesi dell’anno i meno blasonati A.C.T sono tornati dopo 8 anni. E poi ci sono gli Enchant, altrettanto poco blasonati, che battono tutti questi nomi impiegando ben 11 anni! Il loro ultimo album in studio era l’ottimo “Tug of War” (forse uno dei loro migliori) del 2003, seguito poi l’anno dopo dal “Live at Last” (chissà se un giorno arriverò a procurarmi il DVD…). Poi sono finiti a “Chi l’ha visto?” e ci chiedevamo se davvero sarebbero mai più tornati; personalmente avevo smesso di crederci dopo aver visto Ted Leonard accasarsi agli Spock’s Beard. Ma alla fine gli Enchant sono tornati e devo dire che della lunga attesa ne è valsa la pena.
“The Great Divide” è un disco decisamente meno hard di quelli usciti nei primi anni duemila; ha sì dei suoni un po’ spigolosi ma si nota un certo distacco da quell’hard prog del loro passato più recente e sembra invece navigare nelle acque più neo-prog dei primi anni seppur con un sound più moderno. In poche parole è un album nettamente a servizio della melodia (da sempre un punto di forza della band)… è che melodia!
Merito sicuramente dei tappeti di tastiere, più che mai sognanti e delicati, che sembrano quasi conferire un tocco “rilassante” alle melodie, molto serali e ideali dopo una giornata faticosa di lavoro. Tanta melodia anche nei passaggi di chitarra e incisiva risulta anche la prestazione vocale di Ted Leonard, vocalist piuttosto sottovalutato. Per la verità gli sprazzi di virtuosismo non mancano: non sono proprio occasionali gli assoli di chitarra e tastiera ma sembrano immischiati nelle melodie, le seguono in maniera quasi naturale, al punto da non farci nemmeno accorgere della loro presenza; stessa cosa vale per il drumming, che regala dei buoni spunti. Da menzionare anche il lavoro del basso, che ancora una volta viene messo in evidenza, come lo è sempre stato nei lavori degli Enchant (simbolica è l’intro di “Here and Now”, come anche gli slap nella title-track).
E bisogna ammettere che nessuna traccia pecca in quest’intento di regalare melodie davvero intense; non c’è bisogno di citarne qualcuna in particolare perché tutte esercitano il loro dovere alla stessa maniera e con la stessa intensità; il brano che forse un po’ si distacca da questo spirito è “All Mixed Up”, più dura e legata agli album precedenti ma anche quella che lascia meno il segno.
Insomma un ritorno assolutamente gradito quello degli Enchant. “The Great Divide” può essere collocato tranquillamente fra gli album più riusciti della band, assieme a pietre miliari come “A Blueprint of the World”, “Juggling 9 Or Dropping 10” e “Tug of War”. Chi è un tantino stanco del prog più spregiudicato e sta cercando un album prog meno impegnativo, più spoglio e prettamente melodico non deve fare altro che puntare su questo album.
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