Dopo l'apertura violentemente blasfema di "Telocvovim", i finlandesi Enochian Crescent diedero più volte prova delle proprie tendenze autolesioniste e realmente nichiliste, omicide, sataniste, finendo con un concerto bloccato dalle forze dell'ordine e numerosi arresti - che rischiarono di sciogliere la band - causati dal modo in cuo il cantante Victor presentò quella performance: si staccò tranquillamente, a morsi, una discreta porzione di carne dal braccio destro...
Il mini che seguì a quelle dimostrazioni tendenziose, "Babalon Patralx De Telocvovim", raccoglie in sé gran parte dell'essenza anticristiana dei finlandesi, della loro concezione allucinata dell'esistenza, della loro massiccia volontà distruttiva, che se in qualche modo li avvicina agli Emperor, dall'altro li relega in un ambito ancor meno considerato di quello in cui sono situati i vicini Shining.
L'apertura, a nome "Pestilence And Honey", richiama le atmosfero di una città medievale infestata dalla lebbra, e lo spettrale suono dei campanelli che annunciavano l'avvicinarsi degli appestati. Sotto la pioggia dei colpi di Generis e del tappeto chitarristico tutt'altro che assordante, spicca lo scream gorgogliante e paurosamente irato di Victor, che culmina in un ponte spettacolare in sovrapposizione ad uno stupendo riff; la traccia prosegue come a ritroso, tra violenza e acidità, e termina com'era iniziata, inghiottendo di nuovo tutto nell'orrore delle campane.
Degno prosieguo "Vabzir Camliax", dal caratteristico riffing veloce e ben organizzato, velocità generale non elevatissima ma sicuramente superiore alla opener; violenza che traspare maggiormente dalle urla quasi stridule e dal rullante-doppia cassa del batterista - da rilevare che questi è strumentista anche in una band di musica country... Le accelerazioni improvvse e spaventose sono un incredibile concentrato d'odio e gelo, che non può far altro che penetrare e lacerare, pur non riuscendo del tutto a convincere. Si prosegue sulla stessa falsariga con la ritmata e violenta "Thirteen Candle", caratterizzata da un ritornello che risulta una sorta di costante nelle composizioni crescenziane: un profondo e strisciante growl effettato che si alterna all'irritante screaming, ed un synth lievissimo che non fa altro che estendere nello spazio nero lo spessore del ludibrio e della violenza della distruzione materialista che risulta quasi palpabile.
Meno coinvolgente "Mortiferum Or Ptomaine Malaise", che non riesce a ricreare atmosfere distruttive ed evocativamente cruente come le tre tracce precendenti, fin verso il finale, in cui un improvviso giro di chitarra che emerge dal buio e dal silenzio anticipa un coro, in cui sono coinvolti almeno tre tipi di voci, tra cui una femminile, davero da brividi, in cui ogni speranza sembra andare perduta, inghiottita dalle fausi dell'abisso, dispersa e spazzata via dal vento dei gelidi dirupi finlandesi.
Chiude "A Mathilde", nei cui crediti spicca la dicitura "una forte, tipica, mai pubblicata poesia della bestia". Si tratta di una traccia piuttosto statica, in cui terrore e dolore si fondono in un cantato gradualmente più acido e penetrante, riprendendo spunti dalle varie songs già riprodotte, per un finale ancora al cardiopalmo, acido, crudele, bruciante.
Un album ed un gruppo inarrivabili, incoscienti, malefici; oltre la gioia, oltre il mondo.
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