Molti di coloro che vedranno in home page questa recensione (sempre che ne siano interessati, s'intende) si chiederanno che senso abbia scrivere di un album assai datato (1991), di un gruppo in evidente fase calante e comunque ormai troppo distante da quelle vibrazioni che quasi vent'anni addietro permisero loro di creare il lavoro in oggetto di recensione.

Altretutto esiste già una pagina dedicata a questo album...

Quindi?

Quindi, giusto l'altro giorno, mentre spulcio il ripiano della libreria dove gelosamente custodisco i vinili, mi balza all'occhio la sezione "Earache Rec." e fra un "Reek of..." e un "Blessed are the Sick" il mio sguardo commosso e nostalgico si posa sul monumentale ed epocale "Clandestine" dei seminali Entombed.

L'album in questione, scusate l'immodestia, lo conosco a memoria: ricordo che lo comprai, non senza difficolta di reperimento sul mercato bolognese, un mesetto dopo la data di pubblicazione, giusto in tempo per leggere le ottime recensione della stampa specializzata.

A questo punto, preso da un forte desiderio De-recensorio, mi connetto a DeBaser e controllo se esistono già recensioni a riguardo: un pessimo presentimento si preparava a divenire realtà in quanto ricordo che nel mentre, tempo addietro, mi preparavo a recensire "DCLXVI - To Ride..." notai che i primi lavori erano stati già abbondantemente quotati.

Al tempo non mi dilungai nel leggerli. E mi sbagliai.

Perchè?

Perchè tutti coloro che ne hanno scritto su questo sito non erano nemmeno nati al tempo in cui questi dischi vennero pubblicati: nessuno di loro ha minimamente colto l'atmosfera unica e sconvolgente, quasi da adepto di setta alchemica, metafisica e segreta, che questi seminali album portavano con se e sto parlando di "Left Hand.." e "Clandestine". Senza dilungarmi troppo con il "boulevard nostalgia", nel 1989-1991 gli Slayer erano considerati il massimo di estremismo ed accettabilità anche tra gli adepti del metallo pesante: detto questo, gli Entombed di "Clandestine" appartengono ad un'altro pianeta (non in senso dispregiativo nei con fronti di Tom Araya e co., s'intende), per suoni e tipologia di proposta, per background e per gusto esecutivo.

La nuda, crudele, ossessiva e macabra ferocia di "Left Hand Path" trova massima sublimazione in "Clandestine": dove il primo è rude e compresso, mi riferisco ai suoni, il secondo è più tagliente e ficcante senza risultare scarno o depotenziato (vedasi Crawl, Blessed Be, Linvig Dead), dove il primo è furibondo e rabbioso, mi riferisco alla ritmicità media di esecuzione, il secondo è vario e fantasioso ma meno schiavo del duopolio manicheista "riff doom (lento) - riff death(veloce)" (vedasi Sinner Bleed, Chaos Breed), dove il primo ci lascia agognare desiderando ancora qualche stilla di quella drammaturgia horrorifica che ci colpisce e sconvolge (come nella mitologica title track "Left Hand Path") il secondo distrubuisce saggiamente, con reale costrutto e consapevolezza nell'arco dell'intero album (vedasi Evelyn e sopratutto la conclusiva Through the Collonnades), dove il primo risente di influenze "floridiane" (Death,Sadus e Massacre in primis, quindi niente Thrash Bay Area ed affini, come altrove e da altri affermato) e hardcore britannico più ovviamente una bella spruzzata di Venom prima maniera, il secondo fa suo, nel pieno della maturità compositiva dei nostri seppur giovani svedesi, i vecchi canoni dei seminali Celtic Frost, portando la personalità necessaria a rendersi unici non solo nell'ormai celeberrima ed imitatissima tonalità e timbrica delle chitarre, ma anche nella costruzione di songs estremamente ben congeniate, varie e particolarmente articolate.

"Clandestine", punti deboli?

Pochissimi e non tutti particolarmente negativi.

La prestazione vocale di Nicke Andersson è stato per molto tempo un notevole pomo della discordia: sicuramente sarebbe stato meglio se a latrare odio e disperazione ci fosse stato il buon L.S. Petrov, già autore di una notevolmente straziante prestazione nel precedente lavoro, ma personalmente ho sempre notato una passione disarmante nelle vocals del drummer che ha reso più comprensibile e digeribile anche alcune forzature dovute alla mancanza di una voce in grado di eseguire un growl pieno e profondo.

La registrazione: il mixing finale dell'album ha sicuramente lasciato i dei hard fan della prima ora alquanto interdetti. Effettivamente i suoni in generale avrebbero potuto essere più bombastici o comunque più affini al primo lavoro, mentre questa taratura mid level dell'equalizzazione e questa pulizia quasi cristallina (la batteria in particolare) ha sicuramente colto di sorpresa chi ai tempi si aspettasse un'altra mazzata apocalittica. D'altronde è proprio questa definizione del suono che permette, dopo un'iniziale rodaggio auricolare, di assaporare e godere fino in fondo dei numerosi riff e della magistrale maturità musicale e tecnica dei nostri.

Da riscoprire assolutamente, sopratutto per coloro che sono passati dai Linkin Park al brutal tutto nell'arco di un anno scolastico.

L'importante non è la meta ma è come la raggiungi. Sei sicuro di aver assaporato tutti gli intermezzi?    

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