A volte anche un netto ed evidente dietrofront può avere il suo appeal ed una valida ragion d'essere; il più delle volte succede che arrivato ad un certo punto e ad una certa fama un artista decide di cambiare direzione, con esiti più o meno buoni, i fans piagnucolano, la casa discografica brontola, le radio non lo passano più e alla fine l'artista torna indietro in un tripudio di proclami di "rinascita". Per gli Erasure non è andata esattamente così, la ricerca di un sound più elegante e (relativamente) meno garrulo inizia con "Chorus", probabilmente il loro disco di maggior successo, per poi perfezionarsi con i suoi immediati successori. Il crollo di vendite tra "Chorus" e "I Say, I Say, I Say" non è sicuramente dovuto a chissà quale cambiamento radicale e nè tantomeno ad un calo di ispirazione dato che l'album del 1994 è di ottimo livello, bensì ai soliti e facilmente intuibili motivi che francamente mi sono pure stufato di menzionare per l'ennesima volta; discorso a parte per "Erasure" del '95 con le sue lunghe, atmosferiche e poco radiofoniche ballads, che estremizzano (senza comunque stravolgerlo) lo stile messo a punto negli anni precedenti, mantenendo un feeling immediatamente riconoscibile e portando a termine un percorso graduale di crescita e maturità.

Per come la vedo io, arrivati a quel punto gli Erasure non avrebbero avuto poi molto da perdere continuando su questa direzione: la fase di grande splendore commerciale era ormai alle spalle e loro lo sapevano, specialmente il più navigato Vince Clarke, conquistare un gran numero di nuovi fans tra le nuove generazioni era un'impresa ai limiti dell'impossibile ma d'altro canto potevano contare su una solida fanbase costruita negli anni, che in larga parte aveva apprezzato questa svolta "alternativa". A quanto pare, "Erasure" viene considerato come una fuoriserie di impegnativa progettazione destinata a rimanere un esemplare unico, la chiusura di un ciclo piuttosto che un punto di partenza, ed è una scelta assolutamente rispettabile che dimostra umiltà ed autoconsapevolezza, soprattutto data la coerenza e la serietà con cui Andy e Vince hanno affrontato (e stanno ancora affrontando) la loro fase di "riflusso", che inizia ufficialmente con questo "Cowboy".

A due anni di distanza dal loro vertice artistico, gli Erasure ritornano a proporre un synth-pop fresco, gradevole e spensierato, e lo fanno con un disco veramente ben riuscito: semplice, lineare, assolutamente non pretenzioso, con melodie decisamente ispirate ed orecchiabili, un livello qualitativo ottimo ed uniforme ed un sound più snello rispetto a dischi come "The Innocents" e "Wild!", in linea con i tempi anche se inconfondibilmente personale. "Cowboy" trasmette entusiasmo e gioia di vivere da ogni singola nota, in episodi dinamici e frizzanti come "Don't Say Your Love Is Killing Me", "Have Me Darling" e "Rain" ed anche con midtempos più calmi ed equilibrati che a differenza di quanto si potrebbe pensare costituiscono la struttura portante dell'album, in particolare "Worlds On Fire", "In My Arms", "How Can I Say" e la pseudo-darkeggiante "Treasure".

Due ottime ballads come "Boy" e "Love Affair", perfettamente integrate nel contesto, completano un album nel suo genere assolutamente perfetto, un ascolto piacevole e divertente che riesce sempre a regalare un sorriso. Un pop semplice ed intelligente, ed in fin dei conti l'involuzione, se così la vogliamo chiamare, è netta ed evidente solo in rapporto ad "Erasure", un disco che fa un po' storia a sè, molto meno con le precedenti uscite discografiche. In un certo senso, "Cowboy" è quasi un fratello minore di "I Say, I Say, I Say", più sbarazzino ed informale ma con lo stesso stile inconfondibile; è un bel disco degli Erasure con tutte le garanzie e le certezze del caso, basta questo per descriverlo efficacemente.

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