Parafrasandolo, sarebbe il caso di prendere in prestito, in parte, il titolo di una famosa raccolta di grandi classici del Blues reinterpretati da Eric Clapton; e quindi verrebbe fuori "from the cradle.... to the Blues". Eh sì, propio per sottolineare la giovane età del giovanotto in questione. Questo ragazzo ha qualche onore e nessun onore, a mio avviso. Sono i numeri a parlare per lui: ha 18 anni, 4 album all'attivo, tour con John Mayall, tour con Gregg Allman, ha un suono riconoscibilissimo e personale, cosa non facile da trovare nel Rock Blues odierno, basterebbe questo.

Eric Steckel è il nuovo enfant prodige della chitarra Rock Blues di questi anni. L'unico onere su cui potrebbe incappare, potrebbe rappresentare, in un futuro, la perdita della via maestra come due suoi illustri predecessori nelle vesti - scomode - di enfant prodige di questi ultimi anni: Jonny Lang, lasciatosi andare a sonorità mainstream, e in un certo senso Joe Bonamassa, uno che va perdendosi piano piano nella sua confusione sonora. Steckel ha già un buon seguito in Italia, torna spesso da queste parti ed salito anche sul prestigioso palco del Pistoia Blues di due edizioni fa. Il live in questo piccolo club americano parte con "San-Ho-Zay" di Freddy King, un gustoso aperitivo il salsa Rock Blues con retrogusto Funky in cui il ragazzo e la sua Stratocaster dal suono strappato, si lasciano andare a cavalcate come da tempo non se ne sentivano, figurarsi da un ragazzo che all'epoca di questo live aveva soltanto 16 anni. Arriva la sua "Radio Blues", nel pieno della tradizione lenta del Blues, tutto portato in una atmosfera fumosa. Sentire la voce di un ragazzino in un ambiente così losco, navigato e cavernoso quale è quello del Blues, fa un effetto incredibile. Come in una tempesta tropicale arriva "Espirita". La consapevolezza di Steckel raggiunge livelli altissimi, una composizione trascinante, calda e introspettiva, in cui sciorina calde pentatoniche minori come se piovesse, strabiliante. Si passa a "Me And My Guitar", pezzo molto bonamassiano; infatti sembra di sentire quel groove che aveva il buon Joe ai tempi di "A New Day Yesterday: Live".

Senza stare troppo a chiacchierare arriva "Philips Highway", e si tratta di un pezzo di puro Southern Rock alla Allman Brothers Band, richiama molto "Blue Sky" della Allman, moltissimo; tanto che nel suo solo la cita volutamente "Blue Sky". Del resto il buon Eric è cresciuto nel mito di Stevie Ray Vaughan e della Allman Brothers Band. Nell'ordine arrivano tre mazzate Rock Blues: "Deep Fried", "Jaywalkin" e "Hey Siste". Il live si chiude con altre due cover oltre a quella di Freddy King. La prima, "Little Wing". I fantasmi di Hendrix e di Vaughan vegliano sul giovanotto, soprattutto quello di Vaughan; infatti è una versione più vicina a quella di Vaughan che non a quella di Hendrix, essendo di fatto strumentale come la versione del leggendario chitarrista di Oak Cliff. Raggiunge un phatos incredibile, molto vicina a quella del maestro texano, contando il fatto che ci troviamo pur sempre di fronte ad un ragazzo di 18 anni e che all'epoca di questo live ne aveva 16 (!). E' bene sempre ricordarlo, quindi essere accostato a leggende sacre di quel calibro, è un successo enorme! Il live si chiude con un altro classico, "All Your Love", mitico pezzo di Otis Rush portato al successo da John Mayall ai tempi dei Bluesbreakers con Eric Clapton.

Lasciatevi coinvolgere da questo ragazzo, perchè merita, e perchè ha una maturità compositiva e tecnica fuori dal comune.

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