La chitarra acustica: che strumento incredibile.
Può dar voce a sogni, a incubi o a melodie evocative, sognanti, oniriche...
Descrittore e poeta di questo mondo fatto di arie idilliache è un talento canadese, noto come Erik Mongrain. Questo giovane dalla parlata francese è il figlio artistico del compianto e geniale Michael Hedges, ma anche del grande Don Ross, e di tutta una schiera di chitarristi acustici che creano musica con il solo uso di sei, povere ma ricche, corde.
È da tempo che il giovane Erik si fa pubblicità, e per questo diviene presto famoso e un mezzo mito: si fa una grande propagando con l'ausilio di Youtube, e presto le televisioni lo cercano. Compone e suona anche alcune canzoni per un'artista canadese, Linda Lemay, per poi dare alla luce, questo Giugno, un piccolo diadema musicale, dal nome “Fates”. Si fa notare prima di tutto per la sua tecnica molto appariscente e quasi teatrale, cosa che potrebbe distogliere l'attenzione dalle reali capacità musicali del ragazzo. Una sorta di tapping, che autodefinisce “lap tap”, cioè con la chitarra posta sulle gambe, orizzontalmente, in modo da creare, con l'aiuto sapiente di delay, alcuni tappeti sonori unici e irripetibili.
Se il primo brano “PercusienFa” potrebbe esser già famoso, non si può dire lo stesso di “Fates”, la titletrack. La traccia che apre il disco infatti è molto famosa poiché già da tempo la si poteva ammirare su Youtube. Una piccolo assaggio di ciò che il disco propone: chitarra acustica portata ad eccessi artistici e a tratti teatrali e circensi, ma senza dimenticare una forte dose di emotività che traspare dai molteplici armonici e accordi che la chitarra ci propone. “Fates” invece è un brano più classico, tormentato da una leggera malinconia e da un giro armonico dalla monotonia affascinante e appassionante. Un brano che lascia nella mente una desolazione ma ammirazione e amore per una così docile musica. “La derniere pluie” continua questo viaggio appena intrapreso. Un brano melodico ma travolgente, dalle tinte a tratti frenetiche, a tratti riflessive. E subito si arriva a “Fusions”, famosissimo brano già presente su alcune compilation di artisti emergenti. Un brano che definirei divino. Caratterizzato da un aspetto meno virtuoso e più ritmico, dove gli accordi si muovono sinuosi in una melodia nascosta ma sublime, che cerca di esplodere in un climax emotivo crescente, prima della calma e dopo, in una nuova esplosione musicale.
“Géométrie d'une erreur” rappresenta uno degli apici del disco. Per chi pensasse che tanta bravura fosse già finita, questo brano ci regala un'atmosfera eterea. Quanta malinconia e tristezza regala questo brano, colorato di grigio e azzurro, non c'è luce ma lacrime in un brano che porta la mente al silenzio dei sensi. “Mais Quand?” continua questa atmosfera di luce nascosta, facendo filtrare una buia atmosfera densa di melodia strozzata da un singhiozzo di pianto. Riemerge in questo brano la grande padronanza dello strumento, sia delle dita che possiedono un grandissimo fingerpicking e anche delle tessiture ritmiche elaborate grazie ad un sapiente uso di percussioni direttamente sul corpo della chitarra. Si continua a piangere in maniera sommessa, mentre la musica viaggia prepotente nelle mie orecchie, prima che la famosa “Air Tap” porti una ventata di “aria” e di allegria. Gli armonici della chitarra creano le figure di cieli azzurri e arricchiti di bianche nuvole. Il brano scorre leggero e con le ali della melodia allegra e spensierata, senza fermarsi e piazzandosi al centro della mente. Continua a martellare con la sua andatura così ritmica e così melodica, così eterea nel suo svolgersi, così tecnica ma così sentimentale in un crescendo emotivo senza pari.
“Confusion#8” porta la mia mente su territori più umani e meno sognanti, trattandosi di un brano così semplice e di forte impatto, rimanendo su spazi però molto spensierati e allegri, centrando nuovamente l'aspetto musicale su degli accorgimenti più ritmici e meno virtuosi almeno all'apparenza, poiché l'andamento suggerisce un ritmo, ma la difficoltà tecnica nell'unire ritmo e “note” uniti a sequenze ritmiche in tapping è davvero unica. “Interpretations” riporta gli occhi a rendersi lucidi. Ci troviamo di fronte un'altra gemma strumentale, densa di pathos emotivo e di nuovo caratterizzata da un incedere di malinconica monotonia, una sorta di anafora musicale che sorregge la melodia straziante, per poi cambiare regalandoci una seconda parte di brano densa di romanticismo e amore, per poi ricadere in un sublime oblio, dal quale sofferente ci libera “I am not”, degno epilogo di un disco monumentale, se si pensa che questo è solo un esordio. L'ultimo brano offre brividi di bellezza infinita, mentre una breve sezione di archi arricchisce l'atmosfera già così impalpabile, tale è l'incredibile suggestione di trovarsi davanti ad un Eden musicale.
Per chi davvero ama le emozioni forti in musica, per chi semplicemente ama la chitarra acustica e le sue incredibili variazioni tecniche ed espressive, Erik Mongrain sembrerà un genio venuto da chissà quale paradiso, in cui la musica si fa viva, si fa sogno, e fa sognare.
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