Siamo in pieno Rinascimento, in uno di quei periodi che rappresentano una cuspide della storia: nel caso del "Mestiere delle armi" si tratta appunto del momento in cui comiciano a diffondersi le armi da fuoco e cambia, quindi, il modo di combattere le guerre.

Ermanno Olmi, che qui tocca vertici stilistici a mio giudizio insuperati, sceglie di rappresentare la drammatica parabola umana di un eroe del suo tempo: Giovanni dalle Bande Nere. Giovanni è un capitano di ventura, giovane, coraggioso e temuto; è al servizio dell'esercito pontificio e si trova impegnato a difendere il territorio dalla discesa dei Lanzichenecchi tedeschi.

La narrazione si apre e si chiude con la morte del giovanissimo (ventiseienne) Giovanni: la scena iniziale, che si apre con la vista del feretro solitario all'interno della chiesa di Sant'Andrea di Mantova, è il degno, emozionante incipit della vicenda terrena di Giovanni, che tradito da Federico Gonzaga e ignorato da Clemente VII, morirà per le conseguenze di un colpo di artiglieria alla gamba dopo una atroce agonia di pochi giorni.

Il contesto nel quale Olmi ambienta il racconto è una pianura padana livida e invernale, resa glaciale da una magnifica fotografia che contrasta con le scene degli interni dei palazzi nobiliari di Mantova e Ferrara, dove il colore avvolgente degli interni esalta il confronto tra la molle e corrotta nobiltà mantovana e il rigore quasi ascetico di Giovanni, impegnato nella sua tragica missione.

Il film presenta alcuni passaggi non sempre agevoli, specie nei momenti di dialogo nello stretto dialetto del luogo e in qualche lentezza complessiva, ma lo spettatore è ampiamente ripagato dagli squarci di grandissimo cinema che il Maestro Olmi ci regala: le immagini "ferme" dei personaggi che sembrano comporre quadri cinquecenteschi, la straziante agonia "mistica" di Giovanni, i flashback stranianti che evocano il distacco di Giovanni dalla famiglia che non vedrà più, l'austera rappresentazione della guerra, vista come necessità politica guidata dall'opportunismo.

La mano di Olmi guida con sicurezza uno splendido cast di attori, che trova a mio giudizio il suo vertice nel protagonista H. Jivkov (Giovanni dalle Bande Nere), che interpreta magnificamente una figura di uomo votato a un ideale, rigoroso e austero pur nella sua giovinezza, forte e straordinariamente dignitoso nella sofferenza (prima di morire, subirà l'amputazione di una gamba, raccontata in venti minuti di grandissimo cinema).

Non è un film facile, ma credo che non potremo che rimpiangere la capacità di registi come Olmi di cogliere vicende della nostra storia e della nostra vita trasfigurandole attraverso una poesia e una sensibilità universali.

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