"...con fede nel progresso e in una nuova generazione di creatori e spettatori chiamiamo a unirsi tutta la gioventù. In quanto giovani, noi siamo i portatori del futuro e vogliamo creare PER NOI STESSI libertà di vita e di movimento contro le forze vecchie da tempo vigenti. Chiunque riproduca ciò che lo porta alla creazione in modo diretto e autonomo, è UNO DI NOI".

Die Brucke - "Il Ponte" - di Dresda era questo: calamitare da più parti istinti creativi anche proteiformi e/o contrastanti, convogliare ispirazione da più fonti, lasciare anche solo intendere un'inesplorata strada di possibile apertura. Scavalcare le convenzioni e la maniera, superare il vecchio e determinare un indefinito inespresso "nuovo": in una frase, salire sul ponte di Zarathustra sopra mari di dionisiaca follia, lasciandosi alle spalle l'apollinea monotonia dell'accademia; in una parola, "progredire". Era ansia, febbrile delirio, spasmodica e smaniosa esigenza d'epressione ad ogni costo, desiderio vorace ma insaziabile di scoperta, ricerca dell'esotico mai tentato, anticonformismo, ribellione, schizofrenia.

Ovvero: l'essenza dell'arte di E.L. Kirchner, suicida prima dei 60 anni dopo una lotta impari con una depressione brutale; fervido interventista agli albori della Grande Guerra, non aveva passato le visite mediche. L'avevano rispedito a casa per motivi di salute, e sulla cartella clinica c'era scritto: "insanità mentale". Un diverso, un non-inquadrato, meno che mai un integrato, una mina vagante perennemente prossima all'esplosione. Ideatore e incontrollabile propulsore di ciò che per il Nazismo sarà emblema di "arte degenerata".

Date un'occhiata a questo olio su tela, anno 1913. Un metro e 20 X 81 centimetri: grandi dimensioni, impatto visivo/emotivo devastante. Cinque figure femminili. "Figure", appunto, o "sagome" - se si preferisce - prima che soggetti umani. Ma ci arriveremo. Al primo sguardo: linee nette, scorbutiche, spigolose; senso di velocità rabbiosa figlia d'uno sfogo, quasi si sentisse ancora il pennello sfrigolare ruvido sul piano. Cinque figure inserite all'interno di uno spazio geometrico e artificiale, adagiate dentro un immaginario contenitore romboidale il cui vertice basso è percepibile sulla parte inferiore della tela. Esuberante abbondanza di angoli acuti, isterico zig-zag di geometrie ispide, ansante rincorrersi di archi ogivali rubati al gotico mitteleuropeo (guarda caso, l'opera si trova a Colonia). Il vecchio c'è, allora, non è scomparso - ma è fuori contesto; e il risultato è allucinante, straniante.

Colori nervosi, supremazia assoluta del verde in più tonalità; ma c'è dell'altro, c'è qualcosa di molto strano, a ben vedere: lo sfondo arriva all'occhio prima (e più aggressivo) del primo piano e del soggetto stesso - è il ribaltamento totale della prospettiva comune, è la rottura della consuetudine. Fuor di metafora, ciò è dire: è un mondo alla rovescia, l'etica conosciuta e ri-conosciuta non può considerarsi un sistema valido, se non alla condizione di leggerlo al contrario. Verde, appunto: gradazioni successive e progressive fino all'acido abbagliante. Un'unica eccezione: il pallore di cinque volti nascosti e deformati da un pesante trucco. Volti assenti, sostanzialmente inespressivi, inanimata e depressa sensualità da cerone. Di profilo allungati, sfasati in verticale come le stesse figure, distorte evoluzioni di sagome egizie defraudate di ogni equilibrio ed armonia. Non un accenno di dolcezza, non una parvenza di femminilità: sono la versione malata delle loro cugine avignonesi. Non volti, ma maschere: maschere tribali, primitive, pre-sociali: Kirchner ne aveva ammirate di analoghe al Museo Etnografico di Dresda, ove si erano offerte al suo Genio anche le sculture della remota Palau.

Quel che resta è un'inquietante sinèddoche di vita urbana: non il tutto, ma un campione di esso; non la folla tanto prediletta dai nuovi "vati" delle masse, solo cinque donne e la ruota di un'auto appena percepibile sulla sinistra. Cinque donne. Prostitute? Forse. Forse, ma non necessariamente. Forse soltanto stanche borghesi fintamente "chic", distaccate mentre s'ignorano a vicenda, probabili berlinesi di nascita ma "parigine" d'adozione -  e, soprattutto, d'abbigliamento. Narcisi spenti anziché lucciole abbaglianti di una via che scintilla del fulgore elettrico (artificiale anch'esso, dunque) dei suoi fanali. La metropoli e le tante anime senz'anima intente ad affollarla, a riempire innumerevoli altri quadri romboidali, a moltiplicarsi come prodotti in serie. L'esibizionismo vacuo, svuotato di affetto e comunicazione. La Germania avida e folle che avanza a vele spiegate verso la guerra. Verso la rovina. Kirchner era lì, la sua follia immortalava da vicino - filtraldola - questo alienante scenario. E la sua follia ha partorito questo.  

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