Come ogni volta avevo iniziato a trascrivere i miei pensieri su un album pubblicato dalla Sarah Records scrivendo appunto della Sarah Records. Impossibile a questo punto non risultare stucchevoli: lo sono stato persino adesso che ho ripetuto "Sarah Records" due (3) volte in due (2) righe. Tutti gli appassionati di certa musica sanno che l'etichetta indipendente bristoliana riuscì in breve a imporsi come un garanzia di qualità di un certo modo di fare pop rock fino a diventare una semi-leggenda nell'ambiente indie. Tutti lo sanno, come chiunque al mondo dovrebbe sapere che indie significa indipendente, anche se non nel senso che vorrebbe avere la Serenissima Nasiòn del Veneto Libaro e tanto meno nell'accezione di "pertinente alla Bhārat Gaṇarājya". Tutti dovrebbero, come tutti su DeBaser sanno ormai, per averlo letto e udito fino allo sfinimento, che qualsiasi gruppo che suona shoegaze s'ispira ai My Bloody Valentine e come tutti su TrueMetal sanno che il death metal svedese è quello più veloce e quello della florida è quello più tecnico.

Quest'ultima affermazione l'ho sparata a caso, spero sia vera.

La sorpresa è che non sarà superfluo descrivere come suona Feral Pop Frenzy, unico LP degli australiani Even As We Speak pubblicato nel 1993 da quell'etichetta con le ciliegie. È ovvio, questi piccoli eroi del rock dell'Oceano Pacifico hanno la chitarra jangle e la voce twee: pulitissima ed elegante la prima, sempre d'accordo col basso grassoccio, femminile e sognante la seconda, spesso supportata da un controcanto che-più-dream-non-si-può. Ma oltre a guardare alla gloriosa tradizione inglese degli anni Ottanta, gli Even As We Speak guardano anche verso quel panorama generico chiamato alternative e che ormai andava di moda da entrambi i lati dell'Oceano Atlantico: non temono di mostrare una certa irruenza ben poco twee né di ricorrere a soluzioni figlie più di quella Manchester in cui andavano di moda i pantaloni larghi pieni di tasche. E di infilare ogni tanto sample che magari sembrano un po' a gratuiti, e di diverirsi in più di un intermezzo di banjo.

Insomma: è in tutto è per tutto un disco della Sarah, ma ha anche un sapore deciso di anni Novanta, e la cosa non crea imbarazzo.

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