Per tutti coloro che hanno amato le atmosfere eleganti del cosiddetto sophisti-pop inglese, gli Everything But The Girl sono stati un nome imprescindibile e questo The Language of Life del 1990 si colloca al vertice del loro periodo “new cool” (ci sarà poi una virata “dance”, ma è un’altra storia).

Quinto album in studio, conferma l’approccio dei precedenti riguardo la combinazione tra la voce ammaliante di Tracey Thorn e la scrittura melodica di Ben Watt, con l’importante novità della produzione “americana” di Tommy LiPuma. Vecchia volpe della fusion più nobile, LiPuma inserisce alcune preziose collaborazioni come il bassista John Patitucci o il batterista Omar Hakim e poi ancora Michael Landau (chitarra elettrica) e Joe Sample (ex-Crusaders; al piano nella title track); Russell Ferrante (ex-Yellowjackets; ancora al piano per «Meet Me In The Morning» e «Take Me») e le due chicche dei tenorsassofonisti jazz Michael Brecker («Driving» e «Letting Love Go») e Stan Getz, il quale rifinisce l’album in bellezza nella conclusiva «The Road».

Le classiche sonorità di EBTG si arricchiscono allora di affascinanti sfumature jazzate intrecciate alle liriche romanticamente melanconiche di Ben Watt (miglior pezzo «Driving») oppure sottilmente affilate quando è Tracey a prendere la penna.

Sono solo tre le canzoni a sua firma, ma da questo punto di vista sono anche le più interessanti e tutte con una punta di autocoscienza femminile davvero inconsueta per quegli anni. Prendiamo «Meet Me In The Morning»: “I haven’t come to be a stranger / I haven’t come to break your home / I haven’t come to harm your children / I’ve come to be your love”. E similmente nella title track: “Cause you never learned to speak the language of life / And here you are a grown man who can’t talk to his wife / And the children you just don’t understand” oppure nella sarcastica «Me and Bobby D» riferita a Bob Dylan: “Tell me, is it true that you beat your wife?”. Il tutto sempre con la sua voce suadente e senza aver mai l’aria di farci un predicozzo sull’incomunicabilità maschile!

E poi c’è una cover da Womack & Womack («Take Me») in cui – confrontando la versione sottilmente erotica di EBTG con l’innocua canzoncina originale – meglio si apprezza il concetto di sophisti-pop di cui parlavo all’inizio.

Ultima nota per la parte grafica, davvero impeccabile: ben disegnata, completa di tutti i testi e le informazioni discografiche e arricchita in copertina da uno scatto assai “modaiolo” di Nick Knight, già allora una star del fashion shooting.

In conclusione: un ottimo album

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