"Aurora" è un film girato da Murnau negli Stati Uniti con attori americani ma è molto tedesco (tale è il regista) per l’uso espressionistico della luce, la mobilità della macchina da presa e la riproposta di uno dei temi salienti della sua filmografia europea, tema che si rivela man mano che si dipana il contenuto del film. Il nome di questo regista resta indissolubilmente legato al film girato in Germania nel 1922 - Nosferatu – definito dal critico Morando Morandini “il più vampiresco di tutti i tempi”.

"Aurora" è stato pluripremiato con l’assegnazione di due premi Oscar, uno per l’attrice protagonista ed uno per la fotografia, premio questo diviso tra i due cameraman, uno dei quali ebbe a dire che ”I tedeschi muovono la macchina da presa, gli americani ciò che sta davanti ad essa”.

Con "Aurora", a mio modesto parere uno dei più bei film d’amore mai girati, mi sono avvicinata per la prima volta al cinema muto in b/n: ne ho ricavato la sensazione che si può parlare d’amore anche senza parole.

"Aurora" narra di un giovane campagnolo, sposato con un figlio, irretito da una villeggiante, una donna di città che per fattezze e sensualità anticipa la Lulù del regista tedesco Pabst, interpretata in quel film da Louise Brook (1928).

Nella prima parte del film predomina un’atmosfera noir, funzionale alla descrizione del forte rapporto passionale tra i due amanti, che sfocia nella decisione, suggerita dalla donna, di disfarsi della moglie annegandola durante un giro in barca.

In questa parte del film compare anche la moglie, dolce, accuditiva, dai toni dimessi senza tuttavia scivolare mai nel patetico o nel lezioso. E’ una donna molto innamorata ma anche molto triste perché a conoscenza del tradimento del marito e per il timore di perdere la fattoria dove vivono, dal momento che l’amante vuole che l’uomo la venda per seguirla in città. La giovane trova persino la forza di rimboccare le lenzuola al marito appena rientrato da un incontro amoroso nella palude.

Al suo risveglio l’uomo rimane incantato ad osservare con quanta dolcezza la moglie dà da mangiare ai pulcini: impossibile non ricordare la Carlotta del romanzo “I dolori del giovane Werther” che di lei s’innamora mentre la vede tagliare il pane per i fratellini.

Purtroppo il pensiero dell’amante non l’abbandona ed è a questo punto che invita la moglie - che si dimostra felicissima - a fare un giro in barca. Una volta partiti l’uomo rema nervosamente mentre la donna cerca invano lo sguardo di lui: è arrivato il momento di gettarla nel lago. Lei forse ha intuito tutto e i suoi occhi supplicano il marito di non farlo. Straordinaria prova di attrice, quella di Janet Gaynor, premiata con l’Oscar, per la capacità di esprimere tutta la gamma delle emozioni, con un semplice movimento degli occhi.

Fermiamoci qui per non togliere allo spettatore il piacere di vedere come si sviluppa la vicenda. Basti dire che nella seconda parte del film la protagonista è la città, in un susseguirsi di molte scene con molti particolari, in cui domina un magistrale movimento di macchina e l'andamento è briosamente hollywoodiano. E' nella terza parte del film, la più drammatica, quasi catartica che ritroviamo quanto detto all'inizio: anche se girato negli Stati Uniti questo film ripropone un tema saliente della filmografia tedesca di Murnau, ovvero il dualismo trasgressione erotica/mortificazione del desiderio ricondotto entro l'ambito quotidiano, rifugio rasserenante e rigeneratore. Ne consegue che con l'arrivo dell'aurora assistiamo alla rinascita di un antico amore.

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