I Fates Warning saranno noti ai più come alfieri di un progressive-metal che negli anni '90 spopolava insieme ai Dream Theater, ma pochi sanno che anch'essi conservano nell'armadio scheletri ingombranti, vestigia di un passato dimenticato e rinnegato (un po' come i Pantera cotonati degli esordi).

I primi 3 album del gruppo del Connecticut contenevano un epic-power metal che rappresenta una mosca bianca nel panorama metallico passato, presente e futuro, unici e irripetibili ma allo stesso tempo prodromi della svolta prog, avvenuta quando il chitarrista e leader del progetto Jim Matheos costringerà alla dipartita John Arch, cantante e tassello indispensabile del gruppo in questa fase.

L'esordio, "Night  on Brocken" era grezzo, poco levigato, il seguente " Awaken The Guardian", rappresenta a detta di molti la maturità e l'apice di questi Fates Warning primaticci; nel mezzo si staglia questo "The Spectre Within", che a mio parere ha poco o niente da invidiare al successore.

Certo, è presente qualche passaggio involuto o poco scorrevole, ma mai l'opera apparirà ostica o poco scorrevole. Le chitarre sono in formissima, e saltibeccano con elegante agilità tra riff evocativi o che non sfigurerebbereo in un gruppo della Bay-Area, arpeggi decadenti e dialoghi solisti che prediligono un espressionismo melodico e sentimentale piuttosto che la fredda e plumbea tecnica. Ma è comunque il cantato ad essere il vero protagonista di questa parte inedita dl gruppo americano: John Arch ha un modo particolarissimo di concepire le sue linee vocali; se come timbro può ricordare Bruce Dickinson, non ha eguali il suo modo di affrontare strofe e ritornelli con un senso dell'armonia e una teatralità unici e debordanti, e che rende ogni canzone un mosaico di melodie ed emozioni, pennellando paesaggi con atmosfere fiabesche, magiche e selvagge.

Da canzoni elaborate e ricche di cambi di tempo come "Traveler in Time" , "Pirates of the Underground" o "Orphan Gypsy" con il suo ritornello sognante, si passa alla maestosità della lunga "Epitaph" e di "The Appariton" (chi apprezza il genere non può non cadere in un deliquio estatico da sindrome di Stendhal uditiva ascoltando l'accelerazione centrale), e con puntate sul Power più canonico di "Without a Trace" e "Kyrie Eleison".

Ma il comune denominatore rimane John Arch, che con i suoi saliscendi vocali conferiscono sempre quell'aura di romanticismo e fiera poesia che è il vero tratto distintivo della band in questa fase, dai più ignorata ma che merita assolutamente di essere riscoperta.

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