Intricato, oscuro, perfino ridondante, per I demoni non ho provato l'amore istantaneo che è scoccato leggendo Delitto e castigo, ma non per una sua reale inferiorità, anzi, proprio per la sua sottigliezza: un romanzo endemico, che cresce lentamente dentro il lettore, anche dopo che si è giunti alla fine e il libro è stato chiuso. E' un diamante grezzo, questo capolavoro, di quelli che un altro autore avrebbe rifinito, asciugato, smussandone gli spigoli di troppo; ma, d'altro canto, sono proprio queste le impurità che consentono ai personaggi de I demoni di prendere il volo, trovando vita propria. Ed è incredibile come questo romanzo, sinistro già dal titolo, possa realmente incutere inquietudine, lungo certi passaggi, tramite le idee e i volti grotteschi dei protagonisti, nonostante non si stia leggendo narrativa dell'orrore ma drammatica; Nikolaj Stravogin, Petr Verchovenskij, autentici demoni, sembrano personaggi del Secolo breve e non tanto dell'Ottocento vissuto da Dostoevskij: sono stato il solo ad andare col pensiero, leggendo le avventure dei "nostri", ai fanatismi ideologici del Novecento? Al fascismo, al nazionalsocialismo, al delirio di onnipotenza di piccole cricche ultra-politicizzate, istituzionalizzate o meno, come nel caso degli opposti estremismi che hanno insanguinato il nostro paese negli anni '70; sono davvero l'unico a cui sono venuti in mente i brigatisti, i nuclei armati sparsi sul territorio, i loro comunicati velleitari, pieni di puro fanatismo, gli omicidi compiuti in nome di una rappresentazione mentale (della società, del futuro, della politica) e non per tornaconto personale? Forse, il romanzo di Dostoevskij è utile anche per capire che cos'è l'ideologia: una costruzione irrinunciabile, straordinaria quanto allo stesso tempo tremenda se sposata senza critiche, capace di pervadere il corpo di un uomo e di sostituirne il cuore, qualsiasi sia il suo colore.
Ecco, delle diverse facce de I demoni io ho accennato ad una delle tante, seguendo il mio istinto; ma questo capolavoro è molto di più, non vorrei ingannare chi, magari, non è interessato come me alla storia: il libro non è soltanto un libro politico, ma anzi, chi legge Dostoevskij per le sue analisi psicologiche probabilmente neppure darà peso a queste implicazioni ideologiche: si farà trasportare dalla tormentata relazione fra Varvara Petrovna e Stepàn Trofimovic, o dalla teoria sul suicidio di Kirillov, leggendo un altro I demoni e non lo stesso che ho letto io. Vi sono poi intere sezioni di pagine, pesanti ma che scivolano velocemente una dietro l'altra, dove l'autore russo lascia che la penna scivoli liberamente, caotica, dando voce alle riflessioni più torbide dei protagonisti; c'è chi parla con frenesia, chi divorato dall'angoscia, ma anche chi racconta serenamente di un omicidio - perfino dell'omicidio, seppur indiretto, di una bambina, impiccatasi in un ripostiglio a causa della sevizia psicologica subita - descrivendo con minuziosa e con distacco il proprio terribile gesto: ecco la piccola città di Dostoevskij, l'affresco di tanti piccoli uomini prigionieri del proprio tempo, alcuni soltanto piccoli e meschini, ma poi nascoste fra di loro anche figure nere, profonde come la gola di un pozzo, che si aggirano per il villaggio con la propria fosca presenza, affiorando di tanto in tanto fra gli uomini e fra le righe del libro, pronti ad incendiarsi come un fuoco, percuotendo. Vi è davvero molto, in quest'opera, ed è possibile costruire e poi disfare interi ragionamenti in base al proprio punto di vista. Come un cielo stellato di cui ciascuno, in base alla propria sensibilità, può studiare diverse luci.
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