Liliana Antonelli è una giovane ragazza che, pur essendo priva di talento, ha il sogno di entrare nel mondo dello spettacolo. Tramite un banale espediente inizia a seguire una sgangherata compagnia teatrale che si occupa di varietà e a causa di un equivoco riesce a farne parte nonostante i pareri contrari dei suoi neocolleghi, riluttanti al pensiero di un ulteriore frazionamento della già misera paga. L'avvenenza di Liliana fa invaghire di lei un veterano della compagnia, Checco Dalmonte fidanzato da tempo con Melina Amour. Checco decide per amore di Liliana di abbandonare la Melina e la compagnia per inseguire i suoi sogni di gloria e tentare di mettere in piedi una compagnia tutta sua, la cui star sarebbe ovviamente Liliana. Investe ogni cosa sul progetto inclusi i risparmi di una vita (appartenenti perlopiù a Melina) ma lo attende una sorpresa: Liliana gli riferisce di aver firmato un contratto più vantaggioso presso un'altra compagnia e che lo lascia. A Checco non rimane che ritornare con la coda fra le gambe dalla moglie che davvero prova per lui un sentimento di profondo amore.

Opera prima di uno dei registi italiani più celebrati all'estero in collaborazione con il grande intellettuale Alberto Lattuada, "Luci del varietà" uscì nelle sale cinematografiche nel 1950 e stupisce non solo per gli straordinari equilibri complessivi ma anche perché anticipa molto di Fellini. La cura maniacale riposta nella delineazione dei personaggi viene proposta (pur senza la finezza stilistica delle opere successive) anche in questo suo debutto ed è ripartita su più livelli. Primo fra tutti il mondo della provincia romana, delle immense campagne latine popolate da uomini grezzi e chiassosi che amano divertirsi con spettacoli volgarotti e mal organizzati, appunto quelli della compagnia teatrale protagonista. Bastano poche e veloci riprese per trasmettere allo spettatore lo spazio in cui si muove la cinepresa: giovanotti che aguzzano la vista sotto le sottane delle ballerine, donne anziane annoiate, uomini rudi in attesa del numero "forte" fra fischi e sollazzi. Di contro il mondo dell'avanspettacolo, ricco di falsi illusionisti e scadenti soubrette che rivendicano dignità artistica e rispetto per il loro malandato spettacolo. Infine di scorcio si intravede il mondo dell'alta società con i suoi commendatori e cavalieri pronti a tutti al fine di tutelare e realizzare i propri interessi.

Fellini e Lattuada si avvicinano ad alcuni personaggi riuscendo ad abbozzare ritratti realistici e commoventi. Giulietta Masina è straordinaria come sempre, questa volta interprete di una soubrette di mezz'età dallo spirito pratico e amorevole profondamente legata al suo fedifrago compagno. Praticamente impossibile trattenere la commozione nella scena in cui Melina si ferma per aiutare il padre-capocomico caduto in terra e cerca fra le lacrime l'aiuto di Checco che cammina ormai distante a braccetto con Liliana. A suo agio nei panni del bugiardo cronico, Peppino De Filippo-Checco con la sua grandiosa espressività guida l'azione scenica e regge anche i punti in cui la sua protetta Liliana-Carla Del Poggio non si dimostra all'altezza, incapace di calcare a fondo sull'opportunismo della ragazza e limitandosi superficialmente a dare vita ad una giovane ambiziosa ma ingenua. In gran numero sono gli artisti di strada e gli uomini della notte che si introducono nella narrazione come direttamente usciti da un sogno, anche se la potenza onirica di altre opere felliniane è del tutto assente in "Luci del varietà".

Che sia una pellicola volta a sfatare il mito dello spettacolo, mondo che ispira sentimentalismi e bellezza ma che cela alle sue spalle la volontà da parte di coloro che lo mettono in moto di appagare abietti interessi è cosa certa. L'ambiente del varietà come luogo dell'effimero è un concetto sottolineato palesemente proprio sul finale, nella figura della vecchia soubrette al fianco di Liliana, senza più fascino, accompagnata solo dall'invidia nei confronti di tutte quelle che verranno dopo di lei che ancora conservano al freschezza della gioventù, come Liliana. Ma "Luci del varietà" non si ferma a questa interpretazione. E' anche più in generale la fotografia impietosa dall'Italietta del secondo dopoguerra, provata dagli orrori bellici e carica di ignoranza e pregiudizi, guidata da una classe dirigente marcia. Non c'è ironia ma soltanto puro realismo che i registi si preoccupano di descrivere obiettivamente. Infatti al termine della cattiva esperienza con Liliana, Checco non torna indietro sui suoi passi ma è semplicemente un attore fallito incapace di riconoscersi come tale cui la vita non ha insegnato nulla, come dimostra sul finale quando, spacciandosi per un capocomico fa il cicisbeo con una ragazza carina incontrata sul treno, mentre Melina, la sua eterna coscienza, si è allontanata a prendergli un caffè.

Il pubblico non viene posto nelle condizioni di simpatizzare con alcun personaggio, perché tutti, chi più chi meno, fanno parte di quell'Italietta di cui sopra che perde il pelo ma non il vizio.

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