Con il passare degli anni Fiorella Mannoia si conferma, con la sua voce di volta in volta sempre in evoluzione, espressiva e capace interprete, assai duttile e variegata. Dagli esordi con il primo successo sanremese "Come Si Cambia", a firma di Roberto Vecchioni, a "Quello Che Le Donne Non Dicono", scritta da Enrico Ruggeri, suo (finora) massimo successo di pubblico, la cantante romana ha saputo cogliere gli umori e le sfumature più nascoste delle canzoni e intuitivamente della personalità dei loro autori. Autori di livello (quasi sempre) altissimo, segno della sua credibilità.

Lo conferma questo "I Treni a Vapore", a partire dalla title-track, il primo dei gioielli di questa collezione, a firma di Ivano Fossati, che nel suo ritmo sostenuto e nella sua ampia e ariosa melodia anticipa il nuovo corso della scrittura del cantautore genovese. "Io la sera mi addormento e qualche volta sogno, perché so sognare", sembra anche introdurre l'argomento principale a livello lirico e poetico: il sogno come rifugio dalla vita con le sue tristezze e ferite, come una dimora del tempo assente, in cui ci si può sottrarre momentaneamente dallo scorrere delle cose, e qualcosa verso cui tendere, sempre in un oscillante rapporto con la vita e i suoi cangianti umori. "Tutti Cercano Qualcosa", infatti, secondo gioiello, intagliato da Francesco De Gregori, sembra racchiudere queste atmosfere autunnali sferzate da "gelide folate di vento", questi umori malinconici che poi però sfociano in una più luminosa speranza: un capolavoro di musica e parole, fatto di note leggere e sospese di pianoforte, malinconiche e riflessive, per poi aprirsi in un refrain imponente, con percussioni lente e decise e note in maggiore ("e sarà fuoco e sarà amore, oppure non sarà, sarà ricordo da bruciare finchè non scalderà... sarà ricordo da portare finchè non peserà").

Toccante, a tratti commovete la malinconia della seconda canzone di Fossati "1991 l'amore per amore", e terzo gioiello del disco, (che purtroppo non di sole perle preziose sembra inanellato).

L'unica canzone firmata da Enrico Ruggeri, primo autore che ha incontrato il talento della Mannoia, è ancora interessante per il tema della devianza da un'esistenza normale, la canzone è credibile e dopo quelle dei "big" citate, sicuramente si colloca su di un buonissimo livello. Tema peraltro caro a Ruggeri, quello del destino non-scritto, degli errori che si debbono pagare ma non si possono evitare, la marginalizzazione dell'esistenza, la non corrispondenza tra ciò che ci si attendeva e ciò che la vita è ora, da cui ancora scaturisce un sentimento malinconico e la poesia in forma canzone quasi come strumento per renderlo sopportabile ("passo qui le mie giornate come sabbia nel deserto..."). La sorpresa più inaspettata è sicuramente il brano scritto da Eugenio Finardi "Sull'Orlo": il più votato al rock degli autori qui inclusi firma un brano interessante, liricamente in linea con l'oscillazione tra speranza e disillusione, dischiudere (dopo il dolore) gli occhi alla "luce di un nuovo sogno", ma è la parte musicale che più colpisce e ammalia: ritmica potente e sostenuta nel ritornello, e un intreccio elegantissimo di chitarre elettriche, barocche, virtuosistiche, danno quasi l'impressione di assomigliare a strumenti etnici come cornamuse.

Il resto, a parte la chiusura intimistica e autobiografica ancora a firma di Ivano Fossati ("Piccola Serenata Diurna"), svela la parte più fragile del lavoro, e forse la ragione del non eccelso livello che globalmente sarebbe riuscito a raggiungere. "I Venti del Cuore" è l'episodio più pop del disco, singolo scelto per il lancio, non convince, né per le parole né per la musica (piacevolmente melodica e ritmata, peraltro), e la voce della Mannoia (calda, e avvolgente anche sulle note più alte) non basta a colmare queste lacune, ma è, spiace dirlo, l'altro episodio scritto da Massimo Bubola, "Il Cielo d'Irlanda", in cui questa debolezza compositiva si nota maggiormente: forse piacerà per la spensieratezza e l'allegria delle musiche, che "rompe" un certo tipo di tensione drammatica e poetica, e sarà più convincente dal vivo, per il suo carattere di irish-folk-ballad, però poco autentica, per la verità, per l'esotismo di qualcosa che si situa altrove: non basta parlare dell'Irlanda e mettere in scena chitarre acustiche, mandolini, tamburi, fisarmoniche, violini e ritmiche folcloriche per realizzare una canzone popolare irlandese credibile.

Fiorella Mannoia, nata e artisticamente formatasi a Roma, non è Sinead O'Connor, di Dublino originaria, la quale peraltro sembra ben poco interessata al recupero delle radici folcloriche dell'Isola Britannica. Peccato, per i citati gioielli (in assoluto "Tutti Cercano Qualcosa" e "I Treni a Vapore") avrebbe meritato i pieni voti... ma le occasioni non mancheranno.

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