C'è un buono e un cattivo e il mondo crudele in mezzo. Il buono è buono sempre e in quanto buono è destinato a perire. Il cattivo è duro e spezza tutti, ma diventa buono e in quanto buono perisce, ma la vita continua, il futuro è rosa e i due sopravvivono al mondo crudele che diventa migliore.
Il buono è uno scrittore bohemien ben inserito nel proprio contesto storico culturale (come fa un artista ad esser inserito nel mondo che vive?) che lascia dormire la propria coscienza finchè qualcuno non decide di toccarlo da vicino, di insediargli la donna, d'uccidergli (un suicidio guidato) un amico. Il cattivo, un capitano della Stasi, lo spia perchè qualche cattivo più grande di lui ha deciso che deve trovare qualche dosso, qualche sussulto, nella vita del bohemien, ma il cattivo ha un'anima è perisce insieme al buono in un mondo malato, ma comunque sulla via della guarigione.

La favoletta appena raccontata, il canovaccio del 90% delle storielle che ci raccontano prive di qualsiasi spessore culturale e umano così finiscono e "Le Vite degli Altri" di Florian Henckel von Donnersmarck non si pone l'obiettivo d'esser intelligente o almeno un punto di vista alternativo a quello che ci insegnano, ma semplicemente di non fare pensare o meglio d'accettare passivamente quello che per osmosi c'hanno inculcato: ora stiamo meglio, ora il mondo è libero, la democrazia, i buoni e i cowboy vincono sempre.

Chi vi scrive ha ottimi maestri che gli insegnano che nel futuro di rosa non c'è nulla quindi non si perdera in una difesa della DDR e delle sue barbarie. A chi vi scrive non interessa un mondo bello o migliore o qualsiasi scopo educativo. Chi vi scrive detesta solo questo film e chi si semplicizza cose che andrebbero pesate per bene e non disposte alle derive intellettuali e umilianti di tutti (comprese le mie).

Poniamo di trovarci al centro d'un triangolo (la realtà attuale) e consideriamo che i tre angoli, le parti che danno forma alla figura, le parti che la pongono in essere, siano le intercettazioni telefoniche, le impronte digitali prese ai Rom, gli "Editti Bulgari" (sono solo alcune variabili riferite alla libera realtà italiana, ma possono essere centinaia, migliaia, se riferite al sistema-mondo). Immaginiamo di voler pesare l'attualità, di voler calcolare l'area del nostro triangolo. Per farlo avremo bisogno di una base e di una altezza che ci saranno fornite da due aforismi.
Il primo, la nostra base, sarà un aforisma di Rousseau, ovvero: alla base della democrazia deve esserci una completa fiducia nell'uomo.
Il secondo, la nostra altezza, è la spiegazione che Kubrick diede, in un intervista, di Arancia Meccanica, ovvero: quanto uno stato può spingere in avanti il proprio tentativo di mantenere il controllo senza divenire uno stato totalitario?

Benjamin Constant, politico e scrittore, liberale francese, interrogandosi sulla libertà arrivò a dividerla in due tipi così caratterizzanti che fu necessaria una divisione della società stessa. Constant divise le libertà e le democarizie in libertà/democrazia degli antichi e libertà/democrazia dei moderni.
La democrazia degli antichi prevedeva una minore libertà privata come conseguenza di una maggiore libertà pubblica. L'esempio di questa democrazia sono le polis greche, dove tutti i cittadini liberi potevano partecipare alla cosa pubblica. L'unica richiesta per partecipare era un severo controllo del privato del singolo individuo in modo da poter comprendere se il singolo era degno di interferire nella cosa pubblica, nelle vite degli altri.
La democrazia dei moderni divide la società in tanti microcosmi e sfere d'influenza. Una per ogni individuo e nessun individuo deve invadere la sfera altrui. Il compito dello stato, divenuto rappresentativo, è la sola coercizione atta a ripristinare l'equilbrio originale. L'uomo lascia, in cambio d'una maggiore iniziativa individuale, la cosa pubblica a dei professionisti della politica.

Bene, "Le Vite degli Altri" affronta il suo obiettivo in modo volgarmente banale, decidendo cosa è il bene e cosa il male, chi è buono e quando diventa buono e chi è cattivo. La divisione diviene così netta fin dall'inizio da lasciar allo spettatore medio, allo spettatore privo dei mezzi culturali che la società furbescamente non richiede, che il bene sia tutto quello che non sia l'OST. Ma il mio interrogativo è questo: siamo così sicuri che oggi uno spettatore qualsiasi di questo film, un uomo qualsiasi di qualsiasi parte del mondo, sia realmente libero? Partiamo da un punto: la libertà è un valore assoluto, non relativo. Non si può essere molto o poco liberi. O si è liberi o non lo si è e l'unica risposta razionale al mio quesito è che chiunque, ecceto chi detiene il potere (La sola anarchia possibile è quella del potere!), non sarà mai completamente libero.

L'argomento che Florian Henckel von Donnersmarck decide di trattare se svolto in maniera approfondita (diversi gli esempi di elucubrazioni mentali ben assestate... "Arancia Meccanica", "Salò o Le 120 Giorante di Sodoma"... per citare le prime che mi vengono in mente), non così manierista, non così superficiale, potrebbe essere veramente interessante e degno dei migliori dibattiti, ma il nulla che il regista tedesco decide di buttarci in faccia va preso per quello che è: il nulla.

Prima d'un interrogatorio il Generale chiede al Capitano (il cattivo che diventa buono e che forse nel sequel, se mai ci sarà, vincerà alla lotteria e sposerà la principessa in modo da alimentare il sogno americano, il carbone delle nostre vite di merda così unte e democratiche...) da che parte sta e se è ancora dalla parte giusta. Di questo bene/male, biano/nero, vita/morte, sono stanco. Gli innocenti non esistono in nessuna parte del mondo, nè dove sorge nè dove muore il sole... ora qualcuno lo va a dire al regista?

Carico i commenti... con calma