Focus.
Un nome che spesso evoca alla mente pensieri del tipo: "non sono altro che i Jethro Tull olandesi". Insomma, un po' come gli Osanna in Italia. Puntualmente c'è chi li ama e chi li odia per questo fatto. Ma la questione forse è un'altra: se è vero che questa grandiosa band olandese abbia usato spesso e volentieri il flauto traverso, è anche vero che la metà delle volte era suonato in stile molto più classico. In più la band ha uno stile proprio, completamente diverso da quello dei Tull. Il progressive rock dei Focus, come è caratteristico di altri gruppi olandesi come gli Ekseption, nasce dalla passione e fusione di jazz e musica classica, passando per il rock.
Il grande genio della band si chiama Thijs Van Leer che oltre ad essere un ottimo compositore è il flautista, ma soprattutto tastierista della band. Inoltre canta, arrivando a sfiorare acuti degni dell'Ian Gillan dei tempi d'oro. Ad aiutarlo c'è un altro grande personaggio, Jan Akkerman, senza dubbio il miglior chitarrista che i Paesi Bassi possano vantare. Il progetto dei Focus è chiaro: Focus, già dal nome, come in inglese, significa focalizzare, e in questo caso i nostri vogliono focalizzare l'attenzione sulla musica e sulle evoluzioni musicali che ognuno di noi come musicista cerca di prefiggersi. Una sorta di ricerca, dunque. "Molti hanno visto la musica come rivoluzione" ha affermato Thijs Van Leer, "ma io la vedo più come un'EVOLUZIONE". Da ciò presumiamo che la musica miri a qualcosa di colto, anche se in questo album di debutto, "In And Out Of Focus" del 1970, questa ricerca sia ancora ad uno stadio germinale. Si notano a sprazzi contaminazioni ancora un po' pop, che si stempereranno definitivamente negli album successivi.
Apre Focus... (Vocal), con la voce dai toni vellutati di Thijs van Leer e la leggendaria chitarra di Jan Akkerman in evidenza. L'ottimo intro di batteria di Hans Cleuver ci introduce ad un buon brano pop, "Black Beauty", con una linea melodica non indifferente. Pop è anche la canzone "Sugar Island", una sorta di allegoria su Cuba e Fidel Castro. "Anonymus" è la prima canzone che veramente colpisce, con flauto suonato in stile Ian Anderson, assolone jazz di pianoforte e chitarra, e un piccolo intermezzo di basso, suonato dal bravo Martijn Dresden. "Anonymus" è la prima traccia veramente di puro prog nell'album. Dopo un breve assolo batteria, il fianle giunge rallentato. E che dire poi di "House Of The King"? Indubbiamente la più hit più famosa dei Focus, rimasta addirittura per anni la sigla di una programma televisivo italiano, della Rai se non sbaglio. Il flauto è stupendo, Jethroso, l'acustica di sottofondo è geniale, l'intermezzo di chitarra è messo al posto giusto. La perfezione anni '70 fatta canzone. "Happy Nightmare" (Mescaline) è un altro pezzo roamantico-pop, con coretti e chitarrina quasi hawaiana. "Why Dream" ricorda quasi i primi Pink Floyd nel cantato, ed è anche questo è un branetto simpatico, dove finalmente sentiamo un grande assolo firmato Jan Akkerman. Ultima ma non meno importante "Focus" (Instrumental), ripresa del theme iniziale dell'album: un lento stupendo, con una chitarra da pelle d'oca, piccoli passaggi progressivi dettati dall'organo, cambio di tonalità e flauto ancora nel finale.
Focus, il principale fra i tanti nomi sottovalutati del ricco (e spesso snobbato) panorama rock olandese, un gruppo che vale la pena di essere riscoperto e preso in considerazione perché non ci troviamo di fronte ad uno dei soliti complessini underground, ma siamo davanti al cospetto di una delle band essenziali.
Carico i commenti... con calma