Si dice che i comici sappiano far piangere come nessun altro attore, si dice che è molto più difficile far sorridere o ridere che intristire e far piangere. Si, va bene, ma quello è il cinema, è il teatro. Nella musica, invece, si dice che fare dischi buoni e più difficile che far dischi di merda: niente convenevoli, niente frasi ad effetto, niente giri di parole, niente ghirigori.
Ma cosa succede se la musica approda nella teatralità? Cos'è? Musica o recita?
Siamo nel 1993, e Francesco Baccini è un trentenne ligure che è riuscito a prendersi i plausi della critica (premio Tenco per il suo esordio) e l'affetto (e i soldi) della massa. Dopo i successi di "Il Pianoforte Non E' Il Mio Forte" e soprattutto di "Nomi E Cognomi", ha oramai dimostrato d'essere un valido chansonnettier di fine prima repubblica, capace, nel giro di quattro minuti di canzone, di dissacrare e quindi di riappacificarsi (o viceversa) con tutto e con tutti: le donne di Modena, Padova ecc. sono meravigliose? Tanto io sono sfigato con tutte, e di tutte le città. Trovo stupido continuare a tacciare Andreotti d'essere colpevole d'ogni male peninsulare? Allora perché, nel finale, faccio come se volessi strozzarlo con le mie mani? Con questo bel sole sarebbe bello farsi una bella sgroppatina in bici, non è vero? Si, però c'è da sudare...
Come tutto ciò che è prima repubblica, "fa schifo ma mi piace, non lo condivido ma lo sottoscrivo, non lo sottoscrivo ma lo condivido, mi piace ma fa schifo"... Ed ancora "non sono d'accordo ma lo difendo, lo amo anche se non mi corrisponde, lo corrispondo anche se non mi ama, lo voto anche se m'ignora, non lo voto perché si interessa di me"...
Non c'è niente da capire di Baccini Francesco, e questo è il suo bello. La formula potrebbe ripetersi all'infinito, e la vera faccia di questa presa in giro di cantante avrebbe potuto non rivelarsi mai. Ed invece nel 1993 Baccini cambia registro: in "Nudo" affiora la sua quintessenza di sfigato qualsiasi (al giorno d'oggi direbbe "fra-gi-le"), e mette in piena mostra la sua vera identità, quella cosa che ha probabilmente sempre avuto il timore di esporre, e che forse, se non fosse arrivato tutto quel successo, non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere in rime.
Ascoltare un brano come il singolo "Ho Voglia D'Innamorarmi"spiazza per quanto malinconico e cupo questo pagliaccio sia divenuto, nella sua calma apparente d'una quotidianità sciatta e solitaria. L'evoluzione artistica e soprattutto tematica sembrerebbe fisiologica, dopo tutta l'ironia passata, ma c'è anche traccia di un "inevitabile" processo di maturazione: lo si può evincere in brani quali "Portugal", in cui è sulle tracce del maestro DeAndré (col quale peraltro aveva già duettato), od ancora nell'eccelsa "Mauro E Cinzia", in cui dimostra di (poter) essere all'altezza del miglior cantautorato nazionale, con uno di quei tipici quadretti nostrani di quotidiana disperazione adolescenziale, dove morire è bello quasi più che scorazzare su una Vespa Special.
Purtroppo scassa in pieno quando, per prendersi sul serio, sceglie d'andare oltre alla tematica esistenziale, optando per qualcosa di più grosso di lui: "Rifacciamo Il Muro Di Berlino", nonostante il genitore fu deportato a suo tempo ad Auschwitz, è una canzone che fa schifo per musica e per parole (si salvano solo le campane nelle strofe iniziali), e la finale "Wheels In Motion", dal terrificante incipit tutto parlato in inglese credo dal suo vicino di casa, per la pronuncia, è una specie di mezza "We Are The World", buona per Canale 5 quando fa gli auguri di buon Natale con carrellata dei suoi personaggi celebri.
C'azzecca ancora ripescando/canzonando gli anni '60 (lui fu quello che ricantò "Ma qua qua qua quando t'innamorerai di me..."), proponendo stavolta questa "Lei Sta Con Te" (cantata da Gino Paoli, e se non erro cover/furto anni sessanta di un brano di Conie Francis), stavolta insalamoiata in ritmo reggae. Infondo lui è così: non sai mai se scherza, se canzona con le canzoni, oppure no: forse lui si diverte a sfotterle, quelle canzoni così perbenino, ed a sfottere te che te le stai facendo piacere a distanza di decenni...
Restano il passabile poprock della titletrack ed un pugno di pezzi in piano Baccini-style. Walzer per "Venticinque Dicembre" in cui tristemente consapevole che Natale è una festa, e dopo la festa ognuno ricomincia la vita di sempre; walzer per "Mani Di Forbice", all'inizio un po' medievaleggiante, e che quindi diviene gotico-americana come piacerebbe a Burton; walzer per "Non Solo A Roma", in cui Baccini è quello di sempre, che dissacra la capitale e poi lecchinissimamente se ne dichiara innamorato... Belli e fuori canone "Il Superpentito", un brano nato standard ma virato verso il cupo, e gli evocativi due minuti di "E La Sera Scende Giù", tra le urla dei bambini che, d'estate, quando il sole tarda a tramontare, si sono scordati che è già ora di tornare a casa e cenare.
Nonostante questo lavoro sia pieno d'imperfezioni ed ingenuità, "Nudo" contiene diverse buone canzoni e delle belle atmosfere malinconiche e dolorosamente sorridenti... Sentimenti ingenui, appunto, e non molto approfonditi, ma ciò forse è un bene, poiché serve a trasmettere la genuinità di urgenze vere, da non confondersi con le pose da "cantautore melodico de razza". Il pubblico non gradirà quanto gradì i dischi precedenti; apprezzò i singoli ma non capì l'album, né tantomeno l'omonimo libro, edito da Bompiani.
Come dire: la gente lo ha amato perché faceva ridere. In fondo, tutti i pagliacci hanno, dipinta sotto l'occhio, una lacrima.
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