Dopo un capolavoro come "Titanic" e un bel Q-Disc come "La donna cannone" è difficile, anzi difficilissimo, rimanere a galla. Ci prova De Gregori con "Scacchi e tarocchi", ambiziosissimo album di metà anni Ottanta.
Le ambizioni però, superano la bravura. De Gregori si dà da fare, aumenta la carica rock, tenta di distaccarsi dal cantautorismo poetico e italiota (che comunque non va nè ripudiato nè disprezzato) e va alla ricerca del grande consenso sia critico sia, soprattutto, popolare.
L'impresa riesce malissimo: da un lato De Gregori riesce a indovinare un pugno di canzoni quasi miracolose ("La storia", "A Pà" dedicata a Pier Paolo Pasolini), dall'altro sbarella in maniera vistosa e sconcertante ("I cowboys", "Sotto le stelle del Messico a trapanar"). L'intento di De Gregori è quello di affondare il coltello nella piaga e colpire al cuore il dramma e il dolore della società moderna: abbozza dunque un discorso politico e severo che rischia però, di risultare quasi sempre banale e moraleggiante. "La storia" è senz'altro un brano efficace e impegnato ("...ed è per questo che la storia dà i brividi, perchè nessuno la può fermare"), "Scacchi e tarocchi" invece, dedicata agli anni di piombo, non ha nè il guizzo per stupire nè, sotto sotto, il coraggio di osare. Grande dispiego di sonorità e musiche di alleggerimento, un modo insolito e curioso di concepire la musica (De Gregori non ha mai voluto fare sfoggio di grandi melodie e grandi musicalità), eppure, questa volta, grazie alle maestranze di Carlton Barrett e Aisley Dunbar il Principe riesce a curare, a volte persino magistralmente, le musiche e le melodie di alcuni brani all'apparenza non perfetti (vedi "Miracolo a Venezia").
Un disco dunque, cesellato più con la testa che con il cuore. Manca l'originalità letteraria e il coraggio cantautoriale di dischi come "Buffalo Bill" ("Disastro aereo sul canale di Sicilia" è molto più coraggiosa di "Scacchi e tarocchi") e, a tratti, manca persino la spontaneità. È forse per questi e altri motivi che il disco non è riuscito a balzare in testa alla hit-parade, ed è per questo che De Gregori, d'ora in avanti, tenderà a curare moltissimo il reparto musicale (si passa dal melodico al rock casereccio) e tenderà a sottostimare la funzione letteraria (i testi si faranno sempre più noiosi e scadenti, fino ad arrivare al pessimo risultato di canzonacce come "Bellamore" e "Prendere e lasciare").
Per chi, come il sottoscritto, ha amato e stimato il De Gregori impegnato e coraggioso di metà anni Settanta, "Scacchi e tarocchi" rappresenterà la fine, e dunque la morte, di un idolo diverso e controcorrente. Produce Ivano Fossati.
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