Ho deciso di recensire "Guccini Live Collection" per due semplici motivi: il primo è che tutti gli altri dischi di Guccini sono già stati recensiti, il secondo è perchè voglio mostrare a tutti che cosa oggi Guccini veramente È, e non come ce lo vogliono mostrare. Infatti il mio obbiettivo non è recensire questo disco in particolare, ma tutta la vita di un ex-cantautore, dato che non può essere che definito così. Mi sto ponendo una domanda: qualcuno aveva bisogno di una raccolta di pezzi live di Guccini? Seriamente, qualcuno ne sentiva il bisogno? Vorrei saperlo. Nel lontano '98 quando andai ad acquistare questo disco, ormai sono passati anni da quel tragico errore, ero già piuttosto impaurito dal titolo: "Guccini Live Collection" - un titolo più pacchiano e scontato non poteva certo sceglierlo. Al negozio di dischi allora mi feci coraggio, afferrai il cd (il cui prezzo non era neanche basso) e andai alla cassa, dove mi aspettava un cassiere che mi osservava con aria schifata. La copertina non era neanche male, con il titolo scritto sullo scotch e sotto una foto di Guccini di almeno dieci anni prima; inoltre leggendo dietro si poteva leggere un largo assortimento di pezzi (nulla di nuovo, eh!) che andavano dal '66 fino all'ultimo disco allora uscito. E poi erano due dischi, non uno! Ben due dischi del mio cantautore preferito, pensai quando lessi dell'uscita del disco da una rivista. Infatti fino a quel momento avevo grande stima di Guccini. Ora continuerò con il mio racconto. Appena tornato a casa infilai il disco nel lettore e partì (dopo qualche secondo dei soliti applausi per far sì che il disco sembri più lungo) la solita, stantìa, pesante versione di "Canzone per un'amica". Si nota da subito l'arrangiamento inadeguato al pezzo, con allegri sassofoni che si intrufolano quando Guccini dice frasi come: "quando la vita è fuggita", "ma ti ha incontrato la morte". Ascoltando il pezzo si viene assaliti da stecche, note fuori posto e infine il pezzo termina con una dissolvenza. UNA DISSOLVENZA! Quando l'ascoltai per la prima volta pensai "ci dev'essere un errore" oppure "che cavolo hanno combinato?" ma dopo aver sentito anche gli altri pezzi mi accorsi che quella schifo di dissolvenza era presente anche negli altri pezzi. Vabbè basta parlare di dissolvenze, orsù, e facciamoci un po' di coraggio tentando di non cadere nel grottesco (pratica che riesce benissimo al cantautore in questione).

Mi pare logico che non mi soffermerò su tutte le tracce, altrimenti la lettura della recensione diventerebbe dolorosa quanto l'ascolto del disco in questione. Quindi salterò il secondo e terzo pezzo che, oltre a essere pezzi bellissimi, non sono tra i peggiori per esecuzione. Si passa a "Il vecchio e il bambino". Il pezzo mi è sempre piaciuto e mi ha sempre commosso, MA NON IN QUESTA VERSIONE. Ascoltandolo qui mi commuove solo il fatto di aver buttato via più di 30000 lire per questo disco! Una lagna. Sembra che il vecchio Francesco abbia l'asma, perchè dice tre parole ogni minuto, tramutando l'ascolto in sofferenza. Segue "Quattro stracci": qui Guccini, finita la vena poetica Francesco è passato a quella patetica. Il pezzo dopo è "Cyrano", che qui viene cantato senza voce. C'è di peggio però. Il settimo è "Venezia", bello anche in questa versione. Ma purtroppo il disco non contiene solo sette tracce, visto che il nostro Francesco si è sdato. Ne contiene VENTISETTE!
Passo direttamente al decimo, "Via Paolo Fabbri 43". Purtroppo qui Guccini si diverte a trasformare i discorsi indiretti in diretti, cambiando pure intonazione per farci capire che al momento parla il padre ("la pensione è davvero importante") o la madre ("un laureato conta più di un cantante"). Il risultato ve lo lascio immaginare. "Autogrill" non è malaccio. "L'isola non trovata": qui Guccini ci mostra il suo proverbiale vizio di cambiare i pezzi per aggiungerci errori o peggiorarli notevolmente (vedi anche Via Paolo Fabbri e L'avvelenata). In questo caso Francesco spara un "ne parlan piano i marinari" al posto di "marinai". Il fatto in sè non sarebbe tanto grave se non fosse che marinari è aggettivo (lasciamo stare ogni altro commento)... Inoltre forse non tutti sapranno che il pezzo stesso è stato palesemente copiato dalla poesia (di ben altre dimensioni epiche di questo disco) di Guido Gozzano "La più bella".
Salto "Asia" versione camera mortuaria e "Un altro giorno è andato" versione soporifera per passare al secondo cd, che si apre con "Eskimo", uno dei miei pezzi preferiti. Peccato solo che questa sia la famigerata "versione funerale" che negli ultimi tempi piace tanto a Guccini. Salto una penosa "Auschwitz", una decente "Canzone delle osterie di fuori porta" e un altro po' di paccottiglia per arrivare a "Due anni dopo". Qui Vince Tempera (o chi per lui) si è divertito a tirare fuori un arrangiamento assolutamente inadatto al pezzo, che porta via tutta la profondità del racconto. Francesco tralascia anche i soliti falsetti presenti nell'omonimo disco (non una gran perdita a dirla tutta)!
Gli altri pezzi che spiccano sono "L'avvelenata" dove Guccini fa un grossolano errore grammaticale (fortuna che si corregge!), la solita "La locomotiva" e gli ultimi due pezzi che tentano l'effetto nostalgia: "Statale 17" e "Noi non ci saremo".

Ora passo alla conclusione (o breve riassunto).
Ammettiamolo. Francesco non ha più l'età per fare i dischi.
É andato. Finito. Non resta più nulla di lui se non una grossa figura sbiadita. D'accordo, nel passato è stato un mito, un grande mito; nessuno lo nega. Come sarebbe impossibile negare che questo disco faccia schifo. É una schifezza. Letteralmente. Guccini ormai ha stufato con la sua voce gracchiante e con la sua stupida erre moscia. Non ha più nè la voce a fesso di un tempo (Folk Beat n 1) nè la voce lamentosa degli anni a seguire.
É triste che un personaggio che è stato di una tale grandezza nel passato oggi sia solo l'ombra di quel era e che viva di rendita. Già dalla copertina ci si accorge della fregatura. Avete notato che immagine ha messo? Sarà almeno di quarant'anni fa! FRANCESCO! Che ci combini? Questi abbocchi non si fanno... Comunque - per informarvi - la fregatura non è finita qui. Francesco tenta anche qui l'effetto nostalgia infilando pezzi vecchi rifatti con le musiche (solitamente scadenti) scritte da qualcun altro (Vince Tempera forse?) - ma questo effetto ha ormai stufato. Non ne possiamo più di vecchi pezzi suonati mediocremente rifatti e risuonati ancora peggio. Poi i testi sono le stesse palle! "Morte nera e secca"?! SECCA?! Francesco, l'unica cosa secca che hai è la cantina! ("Libera nos domine", fortunatamente questa non c'è nel disco).

Scusate la divagazione. Insomma, risparmiate i vostri soldi per un altro disco di Guccini (anche se trovate la versione scontata a 14,90 € non lasciatevi ingannare, la scontano perchè non riescono a venderli!) possibilmente uno prima del '98.

Elenco tracce e testi

01   Canzone per un'amica (04:12)

02   Canzone per Silvia (05:07)

03   Quello che non (04:02)

04   Il vecchio e il bambino (03:42)

Un vecchio e un bambino si preser per mano
e andarono insieme incontro alla sera.
La polvere rossa si alzava lontano
e il sole brillava di luce non vera;
l'immensa pianura sembrava arrivare
fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare
e tutto d'intorno non c'era nessuno,
solo il tetro contorno di torri di fumo.

I due camminavano, il giorno cadeva,
il vecchio parlava e piano piangeva.
Con l'anima assente, con gli occhi bagnati
seguiva il ricordo di miti passati;
i vecchi subiscono le ingiurie degli anni,
non sanno distinguere il vero dai sogni,
i vecchi non sanno nel loro pensiero
distinguere nei sogni il falso dal vero.

E il vecchio diceva, guardando lontano,
"Immagina questo coperto di grano,
immagina i frutti, immagina i fiori,
e pensa alle voci e pensa ai colori,
e in questa pianura, fin dove si perde,
crescevano gli alberi e tutto era verde,
cadeva la pioggia, segnavano i soli,
il ritmo dell'uomo e delle stagioni".

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste
e gli occhi guardavano cose mai viste,
e poi disse al vecchio, con voce sognante
"Mi piacciono le fiabe, raccontane altre".

05   Quattro stracci (04:16)

06   Cyrano (06:22)

07   Venezia (04:12)

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti,
che cercano in mezzo alla gente l' Europa o l' Oriente,
che guardano alzarsi alla sera il fumo - o la rabbia - di Porto Marghera...

Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
è morta di parto gridando in un letto sudato d' un grande ospedale;
aveva vent' anni, un marito, e l' anello nel dito:
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti...

Venezia è un' albergo, San Marco è senz' altro anche il nome di una pizzeria,
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
Stefania d' estate giocava con me nelle vuote domeniche d' ozio.
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un dolore a livello del mare:
il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
c'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre...

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa:
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino.
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale...

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità:
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega!
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino:
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti...

08   Bologna (04:53)

Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli
col seno sul piano padano ed il culo sui colli,
Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale,
Bologna la grassa e l' umana già un poco Romagna e in odor di Toscana...

Bologna per me provinciale Parigi minore:
mercati all' aperto, bistrots, della "rive gauche" l' odore
con Sartre che pontificava, Baudelaire fra l' assenzio cantava
ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare.

Però che Bohéme confortevole giocata fra casa e osterie
quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie...
Oh quanto eravamo poetici, ma senza pudore e paura
e i vecchi "imberiaghi" sembravano la letteratura...
Oh quanto eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna
cullati fra i portici cosce di mamma Bologna...

Bologna è una donna emiliana di zigomo forte,
Bologna capace d' amore, capace di morte,
che sa quel che conta e che vale, che sa dov' è il sugo del sale,
che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita...

Bologna è una ricca signora che fu contadina:
benessere, ville, gioielli... e salami in vetrina,
che sa che l' odor di miseria da mandare giù è cosa seria
e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perchè sa la paura.

Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio
dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio
e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi
confusi e legati a migliaia di mondi diversi?
Oh quante parole ti cantano, cullando i cliché della gente,
cantando canzoni che è come cantare di niente...

Bologna è una strana signora, volgare matrona,
Bologna bambina per bene, Bologna "busona",
Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto,
rimorso per quel che m' hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato...

09   Canzone quasi d'amore (03:41)

Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi,
giocando coi miei giorni, col tempo...

O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti;
io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita
costretta come dita dei piedi...

Queste cose le sai perché siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perché siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d'azione o di parola,
volando come vola il tacchino...

Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d'orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno,
ma c'è una vita sola, non ne sprechiamo niente
in tributi alla gente o al sogno...

Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi dell'energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza,
inseguendo la scienza o il peccato...

Tutto questo lo sai e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
perché siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri... coglioni!

Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto,
che la noia di un altro non vale...

D'altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare... grattarsi!

10   Via Paolo Fabbri 43 (09:13)

Fra "krapfen" e "boiate" le ore strane son volate,
grasso l' autobus m' insegue lungo il viale
e l' alba è un pugno in faccia verso cui tendo le braccia,
scoppia il mondo fuori porta San Vitale
e in via Petroni si svegliano,
preparano libri e caffè
e io danzo con Snoopy e con Linus
un tango argentino col caschè!

Se fossi più gatto, se fossi un po' più vagabondo,
vedrei in questo sole, vedrei dentro l' alba e nel mondo,
ma c'è da sporcarsi il vestito e c'è da sgualcire il gilet:
che mamma mi trovi pulito qui all' alba in via Fabbri 43!

I geni musicali preannunciati dai giornali
hanno officiato e i sacri versi hanno cantati,
le elettriche impazziscono, sogni e malattie guariscono,
son poeti, santi, taumaturghi e vati:
con gioia e tremore li seguo
dal fondo della mia città,
poi chiusa la soglia do sfogo
alla mia turpe voglia.... ascolto Bach!

Se solo affrontassi la mia vita come la morte,
avrei clown, giannizzeri, nani a stupir la tua corte,
ma voci imperiose mi chiamano e devo tornare perchè
ho un posto da vecchio giullare qui in via Paolo Fabbri 43!

Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali,
poi stremati fanno cure di cinismo,
son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi
solo se si parla di strutturalismo.
In fondo mi sono simpatici
da quando ho incontrato Descartes:
ma pensa se le canzonette
me le recensisse Roland Barthes!

Se fossi accademico, fossi maestro o dottore,
ti insignirei in toga di quindici lauree ad honorem,
ma a scuola ero scarso in latino e il "pop" non è fatto per me:
ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43!

Jorge Luis Borges mi ha promesso l' altra notte
di parlar personalmente col "persiano",
ma il cielo dei poeti è un po' affollato in questi tempi,
forse avrò un posto da usciere o da scrivano:
dovrò lucidare i suoi specchi,
trascriver quartine a Kayyam,
ma un lauro da genio minore
per me, sul suo onore, non mancherà...

Se avessi coraggio, se aprissi del tutto le porte,
farei fuochi greci e girandole per la tua fronte,
ma sai cosa io pensi del tempo e lui cosa pensa di me:
sii saggia com' io son contento qui in via Paolo Fabbri 43!

La piccola infelice si è incontrata con Alice
ad un summit per il canto popolare,
Marinella non c' era, fa la vita in balera
ed ha altro per la testa a cui pensare:
ma i miei ubriachi non cambiano,
soltanto ora bevon di più
e "il frate" non certo la smette
per fare lo speaker in TV.

Se fossi poeta, se fossi più bravo e più bello,
avrei nastri e gale francesi per il tuo cappello,
ma anche i miei eroi sono poveri, si chiedono troppi perchè:
già sbronzi al mattino mi svegliano urlando in via Fabbri 43!

Gli eroi su Kawasaki coi maglioni colorati
van scialando sulle strade bionde e fretta,
personalmente austero vesto in blu perchè odio il nero
e ho paura anche d' andare in bicicletta:
scartato alla leva del jet-set,
non piango, ma compro le Clark,
se devo emigrare in America,
come mio nonno, prendo il tram!

Se tutto mi uscisse, se aprissi del tutto i cancelli,
farei con parole ghirlande da ornarti i capelli,
ma madri e morali mi chiudono,
ritorno a giocare da me:
do un party, con gatti e poeti,
qui all' alba in via Fabbri 43!

11   Autogrill (04:28)

La ragazza dietro al banco mescolava
Birra chiara e Seven-up
E il sorriso da fossette e denti
Era da pubblicita'
Come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill
Mentre i sogni miei segreti
Li rombavano via i TIR.

Bella d'una sua bellezza acerba
Bionda senza averne l'aria
Quasi triste, come i fiori e l'erba
Di scarpata ferroviaria
Il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere
Che tracciavo con un dito
Dentro ai cerchi del bicchiere.

Basso il sole all'orizzonte
Colorava la vetrina
E stampava lampi e impronte
Sulla pompa da benzina,
Lei specchio' alla soda-fountain
Quel suo viso da bambina
Ed io, sentivo un'infelicita' vicina.

Vergognandomi, ma solo un poco appena,
Misi un disco nel juke-box
Per sentirmi quasi in una scena
Di un film vecchio della Fox,
Ma per non gettarle in faccia
Qualche inutile cliché
Picchiettavo un indu' in latta
Di una scatola di te'.

Ma nel gioco avrei dovuto dirle
"Senti, senti io ti vorrei parlare...",
Poi prendendo la sua mano sopra al banco
"Non so come cominciare...
Non la vedi, non la tocchi,
Oggi la malinconia?
Non lasciamo che trabocchi
Vieni, andiamo, andiamo via..."

Termino' in un cigolio
Il mio disco d'atmosfera
Si sentì uno sgocciolio
In quell'aria al neon e pesa
Sovrasto' l'acciottolio
Quella mia frase sospesa
Ed io... ma poi arrivo' una coppia di sorpresa.

E in un attimo, ma come accade spesso
Cambio' il volto di ogni cosa
Cancellarono di colpo ogni riflesso
Le tendine in nylon rosa
Mi chiamo' la strada bianca
"Quant'e'?" chiesi, e la pagai
Le lasciai un nickel di mancia
Presi il resto
E me ne andai.

12   L'isola non trovata (02:46)

La vedi nel cielo quell' alta pressione, la senti una strana stagione
Ma a notte la nebbia ti dice d' un fiato che il dio dell' inverno è arrivato
Lo senti un aereo che porta lontano, lo senti quel suono di un piano
Di un Mozart stonato che prova e riprova, ma il senso del vero non trova
Lo senti il perchè di cortili bagnati, di auto a morire nei prati
La pallida linea di vecchie ferite, di lettere ormai non spedite
Lo vedi il rumore di favole spente, lo sai che non siamo più niente
Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile od un prato
Conosci l' odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte
E a nafta, telai, ciminiere corrose, a periferie misteriose
E a rotaie implacabili per nessun dove, a letti, a brandine, ad alcove
Lo sai che colore han le nuvole basse e I sedili di un' ex terza classe
L' angoscia che dà una pianura infinita, hai voglia di me e della vita
Di un giorno qualunque, di una sponda brulla, lo sai che non siamo più nulla
Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia
Non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita
Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro,
Lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo
Si fa a strisce il cielo e quell' alta pressione è un film di seconda visione
È l' urlo di sempre che dice pian piano
Non siamo, non siamo, non siamo

13   Asia (04:41)

Fra fiori tropicali, fra grida di dolcezza
La lenta lieve brezza scivolava.
E piano poi portava fischiando fra la rete
L'odore delle sete e della spezia.

Leone di Venezia, leone di S. Marco
L'arma cristiana è al varco dell'oriente.
Ai porti di ponente il mare ti ha portato
I carichi di avorio e di broccato.

Le vesti dei mercanti trasudano di ori,
Tesori immani portano le stive.
Si affacciano alle rive le colorate vele,
Fragranti di garofano e di pepe.

Trasudano le schiene, schiantate dal lavoro
Son per la terra mirra, l'oro e incenso.
Sembra che sia nel vento su fra la palma somma
Il grido del sudore e della gomma.

E l'Asia par che dorma, ma sta sospesa in aria
L'immensa millenaria sua cultura.
I bianchi e la natura non possono schiacciare
I Buddah, i Chela, gli uomini ed il mare.

Leone di S. Marco, leone del profeta,
Ad est di Creta corre il tuo Vangelo.
Si staglia contro il cielo il tuo simbolo strano
La spada, e non il libro hai nella mano.

Terra di meraviglie, terra di grazie e mali
Di mitici animali da "bestiari".
Arriva dai santuari fin sopra all'alta plancia
Il fumo della ganja e dell'incenso.

E quel profumo intenso, è rotta di gabbiani:
Segno di vani simboli divini.
E gli uccelli marini additano col volo
La strada del Katai per Marco Polo.

14   Un altro giorno è andato (03:53)

E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito,
quanto tempo è ormai passato e passerà?
Le orchestre di motori ne accompagnano i sospiri:
l' oggi dove è andato l' ieri se ne andrà.
Se guardi nelle tasche della sera
ritrovi le ore che conosci già,
ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai
e il tempo andato non ritroverai...

Giornate senza senso, come un mare senza vento,
come perle di collane di tristezza...
Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate:
fugge un cane come la tua giovinezza.
Negli angoli di casa cerchi il mondo,
nei libri e nei poeti cerchi te,
ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà
e dove corra il tempo chi lo sa?

Nel sole dei cortili i tuoi fantasmi giovanili
corron dietro a delle Silvie beffeggianti,
si è spenta la fontana, si è ossidata la campana:
perchè adesso ridi al gioco degli amanti?
Sei pronto per gettarti sulle strade,
l' inutile bagaglio hai dentro in te,
ma temi il sole e l' acqua prima o poi cadrà
e il tempo andato non ritornerà...

Professionisti acuti, fra i sorrisi ed i saluti,
ironizzano i tuoi dubbi sulla vita,
le madri dei tuoi amori sognan trepide dottori,
ti rinfacciano una crisi non chiarita:
la sfera di cristallo si è offuscata
e l' aquilone tuo non vola più,
nemmeno il dubbio resta nei pensieri tuoi
e il tempo passa e fermalo se puoi...

Se i giorni ti han chiamato tu hai risposto da svogliato,
il sorriso degli specchi è già finito,
nei vicoli e sui muri quel buffone che tu eri
è rimasto solo a pianger divertito.
Nel seme al vento afferri la fortuna,
al rosso saggio chiedi i tuoi perchè,
vorresti alzarti in cielo a urlare chi sei tu,
ma il tempo passa e non ritorna più...

E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito,
quanto tempo è ormai passato e passerà!
Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada,
il domani come tutto se ne andrà:
ti guardi nelle mani e stringi il vuoto,
se guardi nelle tasche troverai
gli spiccioli che ieri non avevi, ma
il tempo andato non ritornerà,
il tempo andato non ritornerà,
il tempo andato non ritornerà...

Carico i commenti...  con calma