Si temeva la nebbia ma la nebbia non c’era. E questo già era un bene. La chiusura del casello di Castelnuovo Scrivia, invece, ci ha buttato (me, amici e multipla contenente) sulle stradine di pianura alla ricerca del tristissimo casello successivo. Nessun problema: da pigri posapiano quali siamo eravamo in larghissimo anticipo, e non solo l’inizio del concerto non era a rischio, ma neppure l’obbligatorio dazio del panino alla porchetta fuori dall’ingresso del palazzone del Forum (o come cazzo si chiama adesso). Andando su in macchina sono stato facile profeta: ho detto che il Guccio non ha dischi da promuovere, e che di solito questo è un ottimo segnale per un concerto. Certo, c’era il timore della stanchezza, del disincanto, della testa altrove che potevano essere ingenerati dalle dichiarazioni e dagli atteggiamenti di vita del Guccio del recente passato…: scrittore più che cantautore –pareva- non privo di esternazioni musicalmente scollinanti, ove, sconsolatamente (per noi) si leggeva che la chitarra praticamente non la suona neanche più, e che ormai a cadenze regolari registra sempre lo stesso disco, un po’ con il piglio goliarda e perfettamente consapevole col quale l’immenso Federico dichiarava di girare sempre lo stesso film. Dunque, una scommessa, per farla breve. Arriviamo al Forum (o come cazzo si chiama adesso) e già ci stupisce la folla immensa incolonnata prima del cavalcavia (circa 3 km), quella che scende dalle macchine, quella che fa la fila, quella che cerca i biglietti dell’ultimo minuto e quella, tra la quale a pochissimo saremmo stati anche noi, che annusa cipolle, porchetta e peperoni. Dentro il Forum (o come cazzo si chiama adesso) abbiamo deciso di coprire la porchetta (buona) con un hot dog di plastica. Amen. Almeno la birra per mandarlo giù era buona.
Mezz’ora più che accademica di ritardo, perdonabilissima, e salgono sul palco. Sempre loro, Biondini, Tempera, Marangolo, e già questa è un’emozione, anche se l’aver lasciato Tavolazzi dedito totalmente al jazz è un po’ un peccato. Ma è stato sostituito molto bene, e questo basta. Guccio è splendidamente enorme, ha un camicione rosso fuori dai jeans e una meravigliosa panza da prevosto di una volta. Saluta, fa il suo discorsetto iniziale, come sempre divertentissimo e tutt’altro che superficiale, poi, con un po’ di fatica non nascosta, anzi simpaticamente marcata, s’infila a tracolla la chitarra e inizia, come sempre con “Canzone Per Un’Amica”. E si sente da subito che le cose girano bene. “L’Isola Non Trovata”, “Eskimo”, “Lettera”, “Stelle”, “Dio E’ Morto”, “Noi Non Ci Saremo”, “Quello Che Non”, “Signora Bovary” e tante altre, saltando a pié pari gli ultimi due dischi, pur belli, ma riconosciutamente ripetitivi e non ispiratissimi, con l’unica eccezione di “Una Canzone”, canzone manifesto-confessione sulla canzone e l’arte della stessa, eseguita con dovizia esplicativa. Poi una canzone inedita, che non so che lasci trapelare (disco nuovo, altro live…chissà…), ma che è parsa molto bella, austera, su musica di Biondini e con testo tradotto da una lettera in dialetto di un partigiano. Canzone utile, vista anche la profonda banalità di certi revisionismi tanto di moda. Il concerto si chiude dopo più di due ore con la classica esibizione de “La Locomotiva” ed il solito rifiuto di eseguire la pluririchiesta “L’Avvelenata” (“ragazzi…non me la ricordo più…poi volete solo sentire cazzinculo…su…”). Tra i tanti intermezzi parlati/recitati, divertentissimi quello sulle poesie di Bondi e sulla banalità ininterpretabile di alcune canzoni d’amore (il riferimento a “Ti Amo Ti…” di Tozzi è stato colto da un vero coro da stadio cantante, che ha generato la finta indignata reazione del Guccio: “Ah…ma allora la sapete tutta…. !”). Guccio lascia il palco dopo aver salutato ed aver detto, convinto, d’essersi divertito tantissimo e definendo la serata “veramente emozionante”. Realmente, il pubblico era bello e caldissimo. Lui uno dei pochissimi davvero grandi ancora in giro e inaspettatamente in grande forma. Speriamo di vederlo ancora, in qualche altra serata autunnale, tra una porchetta e l’altra. Questo pomeriggio vado con un amico a prendere un po’ di vino nell’astigiano. E che c’entra, direte voi ? Niente, ma il Guccio, nella radio, ci terrà non poca compagnia.
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