Ci sono numerosi punti da trattare se si vuole parlare esaurientemente di un disco di Guccini. Molti di più se si tratta di quest’ultimo lavoro pubblicato a fine febbraio dell’anno in corso.
Il primo punto è che Guccini è palesemente invecchiato. Le sue canzoni hanno perso definitivamente spontaneità e istintività, a conclusione di un processo già riscontrabile nel precedente “Stagioni”. Questo non lo dico con connotati negativi, anzi. Le parole di Guccini non sono più scritte a getto, ma piuttosto ragionate, pensate, incastrate in rime con un lavoro certosino, da “Professorone”.

Il disco è mediterraneo nello spirito, nei sapori e nelle immagini. Sa di acqua marina, sole battente, pelle bruciata, pelle sale. Francesco tratta come sempre dei dolori e delle malinconie quotidiane ma anche, come è sua consuetudine da una decade a questa parte, di temi storici intessuti di mito. Quindi di Ulisse, di Cristoforo Colombo, del “Che”. Tratta di Genova e degli sciagurati fatti del 2001, ma non manca di ricordarne il passato da città marinara e di legare anch’essa al nostro mare.

Guccini dunque, dicevamo, non più impulsivo, ma riflessivo. Non lampi di genialità divina, ma una creatività più sudata e umana. Non è forse questo il senso dell’Ulisse cantato nel primo brano? Chi ai semidei e agli invulnerabili eroi dell’Iliade, non preferisce l’umano Odisseo, animato da curiosità, furbizia e da una fallace irruenza dettata dall’impulsività passionale? Questo è per me Guccini, un passionale umano Odisseo dei nostri giorni. Esploratore per sete di conoscenza, delle profondità umane, non soddisfatto dei piccoli soleggiati lidi di Itaca.
Passando ai brani successivi troviamo “Una Canzone”, qui il cantautore di Pavana, ci spiega la formula delle sue canzoni, “…la scrive gente quasi normale / ma con l’anima come un bambino / che ogni tanto si mette le al…i”.
Ci aspetta poi una piacevole sorpresa alla traccia numero tre, “Una Canzone Per il Che”. Il testo è dello scomparso Catalano “Manuel Vasquez Montalban”, la chitarra di Flaco e il piano di Tempera ad accompagnare le ultime ore del “Che”.

Unica pecca di un disco nel complesso organico e ben strutturato, l’inedito del ’71. Incomprensibile intruso, voluto dalla emi, per rimpinguare un disco altrimenti ancora acerbo per le stampe.
Un lavoro onesto, ragionato ma anche passionale. Come Guccini ci ha da tempo abituato.

Elenco tracce testi e video

01   Odysseus (04:29)

Bisogni che lo afferri fortemente
che, certo, non appartenevo al mare
anche se Dei d’Olimpo e umana gente
mi spinsero un giorno a navigare
e se guardavo l’isola petrosa
ulivi e armenti sopra a ogni collina
c’era il mio cuore al sommo d’ogni cosa
c’era l’anima mia che è contadina;
un’isola d’aratro e di frumento
senza vele, senza pescatori,
il sudore e la terra erano argento
il vino e l’olio erano i miei ori.

Ma se tu guardi un monte che hai di faccia
senti che ti sospinge a un altro monte,
un’isola col mare che l’abbraccia
ti chiama a un’altra isola di fronte
e diedi un volto a quelle chimere
le navi costruii di forma ardita,
concavi navi dalle vele nere
e nel mare cambiò quella mia vita
ma il mare cambiò quella mia vita
ma il mare trascurato mi travolse:
senza futuro era il mio navigare

Ma nel futuro trame di passato
si uniscono a brandelli di presente,
ti esalta l’acqua e al gusto del salato
brucia la mente
e ad ogni viaggio reinventarsi un mito
a ogni incontro ridisegnare il mondo
e perdersi nel gusto del proibito
sempre più in fondo

E andare in giorni bianchi come arsura,
soffio di vento e forza delle braccia,
mano al timone e sguardo nella pura
schiuma che lascia effimera una traccia;
andare nella notte che ti avvolge
scrutando delle stelle il tremolare
in alto l’Orsa è un sogno che ti volge
diritta verso il nord della Polare.
E andare come spinto dal destino
verso una guerra, verso l’avventura
e tornare contro ogni vaticino
contro gli Dei e contro la paura.

E andare verso isole incantate,
verso altri amori, verso forze arcane,
compagni persi e navi naufragati;
per mesi, anni, o soltanto settimane?
La memoria confonde e dà l’oblio,
chi era Nausicaa, e dove le sirene?
Circe e Calypso perse nel brusio
di voci che non so legare assieme.
Mi sfuggono il timone, vela e remo,
la frattura fra inizio ed il finire,
l’urlo dell’accecato Poliremo
ed il mio navigare per fuggire.

E fuggendo si muore e la morte
sento vicina quando tutto tace
sul mare, e maledico la mia sorte
non trovo pace
forse perché sono rimasto solo
ma allora non tremava la mia mano
e i remi mutai in ali al folle volo
oltre l’umano.

La vita del mare segna false rotte,
ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte
perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un’eterna vita
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita
di entrare in porti sconosciuti prima

02   Una canzone (04:39)

03   Canzone per il Che (05:14)

04   Piazza Alimonda (05:52)

05   Vite (05:38)

06   Cristoforo Colombo (05:50)

07   Certo non sai (04:28)

08   La Ziatta (La Tieta) (05:48)

09   La tua libertà (04:35)

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