Raramente mi è capitato di trovare così inutile e deludente un film a tal punto strutturato, complesso, vasto. Sognato per decenni, pagato coi soldi del regista (120 milioni almeno), discusso dai media, fomentato qua e là. Bisogna dirlo chiaramente, questo "Megalopolis" è un bluff clamoroso, una costruzione mastodontica e costosissima che al suo interno custodisce un vuoto di idee spaventoso. Rappresenterà probabilmente la fine ingloriosa di un cineasta che comunque aveva già collezionato diversi flop.
Una serie di parallelismi, metafore, simboli, citazioni (pure in latino) distribuiti come le spezie sulla carne, a manciate, pensando forse che la quantità avrebbe sopperito alla mancanza di qualità e coerenza. Una serie di personaggi bidimensionali che vorrebbero essere la parodia di un mondo ormai in decadenza, ma si riducono a inscenare le solite, trite storie già viste mille volte. Una serie di nomi e richiami alla latinità che non hanno alcuno scopo, se non quello di suggestionare lo spettatore per i primi cinque minuti. Ci sono le statue degli dei, il circo con i giochi e le bighe, le tuniche e i ramoscelli d'alloro sulle teste. Ma non servono a nulla.
Un montaggio folle, caotico, quasi casuale sembrerebbe (soprattutto nella seconda parte). Si va di palo in frasca continuamente, i personaggi litigano e fanno la pace ogni cinque minuti. Una critica alla decadenza dei costumi che sembra scritta da un ragazzino delle medie: il sindaco che vuole costruire un casinò, l'architetto che invece vuole un quartiere a misura di cittadino, le ragazze svestite sui tettucci delle auto, il miliardario che ci prova in tv con la conduttrice.
Una serie di trovate inspiegabili e inspiegate: il protagonista che può fermare il tempo (ma senza fare nulla nel frat-tempo), un satellite Cccp (?) che precipitando devasta mezza città. Il problema più grave sta tuttavia nel cuore della narrazione: che cosa ha da proporci di innovativo questo architetto geniale? Boh! Io non l'ho capito sinceramente, a parte un materiale scintillante con cui costruire case e strade che sembrano funghetti. È davvero questo l'utopico sogno di Coppola?
Non sembra convinto nemmeno lui della bontà dell'idea, e infatti infarcisce l'opera di sotto-trame triviali e divagazioni da vecchio trombone che critica il capitalismo e la morale corrotta di oggi. La cantante che si fa pagare per restare vergine, il vecchio miliardario che sposa la giovane, la lupa arrampicatrice sociale, il nipote populista e corruttore, il sindaco conservatore, sua figlia ribelle ma di cuore. Questo il tenore delle vicende laterali: possono intrattenere per un po', ma nessuna partorisce un esito anche solo minimamente interessante. A questo si aggiunga uno stile cafone, casinista, ridondante. Alla fine uno chiede pietà.
Ripeto: tutto questo corollario per poi arrivare a tesi con una patacca come il quartiere di case-fungo. Io non ci sto.
Il futuro tanto agognato nel film non ce lo consegnerà di certo questo regista ultraottantenne, che si riempie la bocca di sogni, ma non sa nemmeno lui cosa vorrebbe e si rifugia in fin dei conti in una serie di luoghi comuni (l'amore, il quartierino coi giardinetti, la scuola). Dispensa critiche (facili) a tutto il sistema, senza accorgersi che con questa paccottiglia anche lui rientra di diritto in quel mondo decadente che pensa di combattere.
"Il cineasta anziano che sciala milioni per le sue ultime, costosissime opere da demenza senile".
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