A un mese dall'uscita di Megalopolis, film forse più divisivo dell'anno, se ne può discutere a mente maggiormente lucida. E dato che la precedente recensione era una stroncatura fin troppo ingenerosa, mi sembra giusto dare un parere diverso su un'opera tanto complessa e da non giudicare sbrigativamente e superficialmente.

"Rome in the ashes. Couldn't even sigh."

L'ultimo film di Francis Ford Coppola, prima di Megalopolis, era Twixt, del 2011. Tredici anni fa. Alla velocità in cui scorre il tempo nell'epoca moderna, quasi un'era geologica. Il mondo era diverso, e così lo era il cinema.

Nell'epoca di streaming e piattaforme, tutto viene consumato più rapidamente, e il cinema stesso rischia di scomparire, almeno quello dei film ambiziosi, imponenti, giganteschi.

Per realizzare il suo più grande sogno cinematografico dai tempi di Apocalypse Now, uno dei massimi autori dell'ultimo mezzo secolo ha messo soldi propri. Consapevole che questo fosse l'unico modo per compiere una tale impresa e creare un'esperienza come, oggi, non ce ne sono. E in totale libertà creativa.

Sic cadit Imperium. Così cade l'Impero.

Se in Dracula, la caduta di Costantinopoli veniva evocata per offrire uno spunto diverso, nell'incipit della personale visione di Coppola al romanzo di Bram Stoker, alla storia del Conte/cavaliere della Transilvania, Megalopolis, ora, parla di un altro tipo di caduta.

Megalopolis è la visione di un'America del futuro. Di un impero americano che, in tutto, a partire da nomi, simboli, estetica, vizi, sfarzo e idea di grandezza, tenta di emulare le gesta di quello che fu a Roma. Prima del fatale appuntamento con la Storia del 476 d.c. e del crollo.

Megalopolis è la visione di un Impero che attende solo la sua fine, dal momento in cui i suoi cittadini iniziano a perdere la fiducia in esso e l'orgoglio di farne parte.

è quando tutto si dà per scontato, che tutto inizia a finire.

Le dinamiche rappresentate non sono che quelle eterne: lotta di potere, lussuria, insofferenza dei ceti più marginali e subalterni che sfociano in rivolte popolari. Fomentate da chi, nel cavalcarle, ha interesse personale.

E, sulle rovine di quel che, pur nelle ostinate resistenze di chi tenta l'autoconservazione, è destinato a cedere il passo, c'è chi sogna il passo successivo.

Ci si domanda se la troppa civiltà non sia la fonte delle suddette rovine. Petrarca e Marco Aurelio vengono citati, nientemeno.

Ma più che il troppo elevato livello di civilizzazione, è l'infinità e perpetua avidità ad ammalare la razza umana.

Greed, avidità. Parola che ricorre più volte nel film, come a confessare esplicitamente il debito nei confronti di von Stroheim e del suo capolavoro maledetto. La stessa fotografia di Megalopolis, con i suoi toni dorati, richiama alle parti colorate dell'opera muta del 1924. Un secolo esatto fa.

"Qui la luce era quella che desiderano coloro che stanno per morire. Coloro che vogliono inondarsi della luce di Roma prima di cadere nella terra." Aurelio Picca, Arsenale di Roma distrutta.

Il riflesso di quella luce penetra attraversi i millenni e gli oceani del tempo, e attraverso i continenti. Il tempo e lo spazio.

L'impero romano è nell'inconscio collettivo di tutta la civiltà occidentale e lo sarà per sempre.

Nella mente di Coppola, New York diventa New Rome (Nuova Roma era uno dei nomi usati per la stessa, sopracitata, Costantinopoli), e colui che porta con sé la visione del futuro, Cesar - ovviamente -, non è che il suo alter-ego.

Così come Cesar vuole realizzare la città del futuro, il regista de Il Padrino, cinquant'anni fa, volle creare il cinema del domani, eterno e libero da imposizioni e restrizioni produttive. Erano gli albori della New Hollywood. E oggi come allora, Coppola immagina il nuovo dalle ceneri di quel che è al collasso. Per corruzione, stanchezza o semplice scorrere degli eventi.

Il Tempo, difatti, non si può fermare né dominare. Nessuno può. Non più che per pochi secondi, al limite. Il Tempo è il banco che vince sempre, prendendosi ogni cosa.

"Per capire il tempo, la coscienza e il coraggio, devi vederli dentro di te"

Megalopolis, passando per Dracula e quell'altro incompreso capolavoro che è Un'altra giovinezza: scremato anche tutto il resto, sono le tematiche del Tempo e dell'Amore quelle più care. E l'identificazione tra regista e protagonista è anche nello struggente ricordo della moglie scomparsa, così come l'amata Eleanor è al centro della dedica finale al termine dell'opera.

L'enormità di quanto immaginato da Coppola è pari soltanto all'audacia della sua messa in scena, ed ha pochi eguali, quantomeno nel cinema contemporaneo.

Questo non significa che Megalopolis sia privo di difetti o momenti discutibili, anzi.

Film titanico, esagerato, sproporzionato e che pare senza una vera trama, senza regole, quasi che il regista italoamericano decida di lasciarsi andare, semplicemente godendosi il viaggio nell'utopia di una umanità futura.

Nei momenti più liberi e senza freni, il limite tra delirio e kitsch diventa indistinguibile. Ma nonostante tutto, il viaggio di cui sopra è uno di quelli che non si dimentica.

"Questo film è una lettera d'amore all'umanità. Questo darà speranza alla società e all'umanità".

Con queste parole dello stesso Coppola, si può infine riassumere il senso di questo spericolato esperimento visivo/narrativo di 138 minuti. Un percorso spericolato, ardito, ma pieno di luce dorata. Quella di cui, per tornare a Picca, l'uomo desidera essere inondato, prima della fine. Indipendentemente da origini e provenienza.

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