Era il 1983. Molte cose erano davvero diverse. Battiato, ad esempio, con prodotti che oggi sarebbero sicuramente di nicchia, dominava le classifiche italiane. Ma gli altri che gli tenevano compagnia si chiamavano Dalla, De Gregori, De Andrè, Vecchioni, Guccini, ecc…, e spesso più d’uno ne incontravi in un’unica top ten. Erano tempi migliori, basta soltanto non incaponirsi e capire che tutto ha un inizio, uno sviluppo e una fine. La grande canzone italiana, purtroppo, non fa eccezione. Allora eravamo ancora in piena età dello sviluppo.
Anch’io, che allora ero un ragazzino, e quell’estate lì, ricordo, ero in montagna con la parrocchia. Brillavo per un oltraggioso autogol di testa fatto nel torneo serale e per essere quello che ascoltava “Battiato e Dalla”. Gli altri erano di altri partiti. Molti, ad esempio, impazzivano per un grandissimo cantautore, credo defunto, che si chiamava Edo Bennato, capace di stregare tanto i circoli della FGCI che i salotti barocchi delle parrocchie. Qualche ragazzina era iscritta all’immortale partito di Baglioni, partito per il quale, in preda ad una debolezza di cui non mi pento, per qualche tempo sono stato iscritto anch’io.
Io però ero testardo nel cercar di convincere gli altri ad ascoltare Battiato. Il grande cantautore catanese era reduce da quattro dischi eccezionali, due di culto e due di massa, tutti ugualmente perfetti: “Patriots”, “L’Era Del Cinghiale Bianco”, “La Voce Del Padrone” e “L’Arca Di Noè”. Aveva portato un linguaggio assolutamente nuovo nel panorama cantautorale italiano, riuscendosi a far capire ed amare da moltissime persone, spesso anche diverissime tra loro. Faceva divertire facendo riflettere. Dava spazio alla musica, a soluzioni armoniche originalissime, e ad uno stile letterario assolutamente nuovo. È stato in assoluto il primo citazionista puro della nostra canzone (oggi l’unico e altro grandissimo è Capossela). Non ha mai copiato nulla, ma ha sempre citato (quasi) tutto. Da cose altissime a cose quasi ridicole, con uno spirito goliardico oggi purtroppo assolutamente non più presente in quasi nessuna parte del nostro povero Paese, ormai in preda ad una seriosità trendy e autoreferenziale assolutamente insopportabile….
Fatto sta che Battiato sfornava dischi in continuazione (in quegli anni lo facevano un po’ tutti), e sicuramente questo rappresentava l’appuntamento più difficile.
Effettivamente, è un disco diverso. L’ampio organico che ha caratterizzato i precedenti (band rock più cori e orchestre) qui lascia spazio a pochissime tastiere e quasi null’altro, dando un’impressione, per me piacevole, di un disco “fatto in casa”. Battiato schiavo dell’elettronica, dunque? Probabilmente, in parte e in quell’epoca, sì. D’altra parte anche Battisti aveva da poco pubblicato “E già”, discussa opera prima del “dopo-Mogol”, di fatto cantautorale sotto mentite spoglie e figlia dell’elettronica più pura.
Questo caratterizza gli arrangiamenti e quel dato fondamentale che è il clima che un disco riesce a creare. Come, in sostanza, “suona” una volta infilato nello stereo. E per me, che però ammetto d’esser figlio di quell’epoca e di poter avere il giudizio parzialmente viziato, “suona” benissimo, come benissimo “suona”, ancora oggi, “E già”.
I brani sono scritti tutti molto bene, i testi “normalmente” ricercati e mai banali, e anche qui si trova qualche perla che rimarrà, sempre, nelle raccolte, nei live e nelle retrospettive dell’Artista. Su tutte “La Stagione Dell’Amore”, “Mal D’Africa” e “Un’Altra Vita”.
Battiato appare solo un pelo più maturo e disincantato. E queste sensazioni che ad altri possono generare tristezza o malinconia, a lui generano versi immortali e perfetti come “la stagione dell’amore viene e va / i desideri non invecchiano, quasi mai, con l’età…”, dove quel “quasi mai” sembra esser messo lì, più che altro, per motivi di metrica…
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