"E' un sogno: noi tutti soffriamo dei lati provvisori dei nostri amori, e questo film ci faceva appunto sognare di amori eterni. Tutto qui": queste le parole con cui François Truffaut commentava, a qualche anno dalla sua uscita, il suo terzo lungometraggio Jules e Jim (1961). Parole che, rilette oggi, sembrano tanto incisive quanto elusive.

Tratto da un romanzo di Henri-Pierre Roché, il film è l'ennesima prova dell'eclettismo del giovane regista parigino, che, in questo lavoro, tentava di mescolare gli stilemi della nouvelle vague con il film di costume, tentando una sintesi fra due stili e lingugaggi opposti: tanto la prima invitava i registi a rappresentare il presente, il qui ed ora, il vissuto quotidiano e  ciò che si poteva raccontare in quanto testimoni, parte in causa ed osservatori, se non protagonisti, quanto la seconda distraeva lo spettatore portandolo verso un passato fatto di ideali che fanno da controcanto ad un presente da obliare per un paio d'ore.

Per Truffaut, il tentativo costituiva una sfida, ed, al contempo, un modo di variare su temi che gli erano ormai cari, tanto dal punto di vista formale che contenutistico.

Nella forma, la sfida tecnica era quella di rappresentare il passato e l'inizio ‘900 della belle epoque e del primo dopoguerra in discontinuità rispetto ai precedenti lavori, così intrisi dell'umore della Parigi di fine anni '50, e di personaggi, che in qualche modo, erano il riflesso del presente dell'Autore. Fare cinema come se si fosse effettivamente nel primo novecento imponeva una revisione dello stile dei precedenti film, qui rinnovato sia per l'utilizzo della voce fuori campo e del narratore-scrittore onnisciente, sia per le tecniche di ripresa e di fotografia che, a tratti, sembrano velocizzate quasi al punto di imitare il cinema muto di inizio secolo, sulle orme dei Lumiere e Chaplin.

Nella sostanza, si trattava invece di una personale ricerca nel tempo perduto - rimando a Proust perché proprio il milieu sociale descritto da Proust fu uno dei canoni ispiratori del film - di un tentativo di riscoprire, nel passato, l'eternità immutabile delle relazioni e dei sentimenti, tracciando un ponte immediato fra le memorie sepolte di Jules e Jim e la vita del regista, oltre che degli spettatori: la storia dei due amici e dei loro amori come paradigma di una vita vissuta con intensità, vivendo in quotidiano fatto di sport, di arte e di cultura.

Storia di un triangolo atipico, in cui due amici amano, in tempi e modi diversi la stessa donna, riamati in modi diversi senza la volontà di scegliere definitivamente l'uno e l'altro, senza la pretesa che l'amore per uno diventi necessario dolore per gli altri, "Jules e Jim" fu visto da alcuni come il racconto di un libertinaggio intellettuale, emotivo e sessuale, oltre che come un "cantico" all'amore senza limiti, oltre che all'emancipazione di uomini e donne dagli schemi preconfezionati della tradizione.

E' indubbio che, nell'immediato e per diversi anni dalla sua uscita, fosse questo uno dei significati del film, forse il più immediato e facilmente percepibile dal pubblico e dalla critica, in anni in cui la maggior parte degli intellettuali francesi preparava il terreno per il '68 parigino a colpi di esistenzialismo, decostruzionismo e critica del linguaggio.

Niente di più lontano dalla Sorbona e da fermenti del quartiere latino per Truffaut, tuttavia, che anche in questo film, dichiarando di occuparsi semplicemente d'amore, e null'altro, rappresenta la vita di una coppia e tre coppie assieme, dapprima tratteggiando l'amicizia virile fra Jules e Jim fra palestre ed atelier della Parigi di inizio secolo, quindi descrivendo l'irruzione della giovane Catherine, per passare poi, per sintesi ed ellissi che seguono lo scorrere dei decenni, l'apparente serenità della famiglia, il suo disfacimento, ed i tentativi di ricomposizione degli affetti.

Un Truffaut "immorale", per i canoni dell'epoca, che maschera, a ben guardare, il moralismo del poeta: più che la storia di un triangolo, come è stato etichettato nel tentativo di banalizzarne il messaggio, "Jules e Jim" mette in scena un conflitto fra vita reale - gli interni borghesi, la casa di campagna così intima ed al contempo così ordinaria che Jules e Catherine che scelgono come nido d'amore - e la ricerca romantica del sentimento assoluto, che negli uomini è rappresentato da Catherine, nella donna dall'idea stessa del sentimento come ideale di vita possibile.

Per certi versi, mentre Truffaut ricerca nel tempo, ed attraverso il tempo, il fluire e le trasformazioni dell'amore, il film dimostra come le persone possano sopravvivere alle guerre, possano paradossalmente non invecchiare mai, ma non sopravvivano altrettanto facilmente alla ricerca di un assoluto, abbia esso la forma ben definita di una donna, o sia informe ed inconoscibile: moderno e tradizionale assieme, il regista rivisita così il tema di eros e thanatos ad una pluralità di livelli, dato che ogni tipo di amore, nella dimensione dell'amicizia, dell'amore verso per i figli o per la compagna, dell'amore verso qualcuno che irrompe nella vita di coppia, si scontra con l'inevitabile e per questo tragica sconfitta, dipenda essa dal proprio comportamento o dallo stesso fluire degli eventi.

Molto più maturo dei film precedenti sotto il profilo contenutistico, e, semplicemente, molto più ambiguo degli altri lavori e quindi aperto a diverse chiavi di lettura, il film non sembra tuttavia completamente riuscito, a dispetto della fama che lo accompagna da decenni, patendo più di ogni altra opera di Truffaut gli effetti del tempo.

L'adattamento da un romanzo di una certa complessità non sembra dei più felici, disperdendo la storia in tanti differenti quadri narrativi che trovano unità e ragion d'essere soltanto nella conclusione del lavoro..

Probabilmente, in Truffaut, il cinema costituiva il mezzo più rapido per comunicare uno stratificato insieme di opinioni, più facile da armonizzare in saggi critici o in romanzi che nello svelto linguaggio degli anni '60: non a caso, qui lo scrittore ruba spazio al regista, rendendo il film tanto denso di contenuto quanto farraginoso in certi suoi sviluppi.

A questi limiti seppero comunque ovviare gli attori, sempre ben diretti dal regista, con Oskar Werner ed Henri Serre, capaci di interpretare due figure sospese fra slanci vitali e passività di fronte all'amore ingovernabile e, su tutti una Jeanne Moreau capace di interpretare la prima grande donna del cinema di Truffaut, nel suo sguardo enigmatico, dove non è semplice distinguere la determinazione ed il timore di chi sogna amori eterni, e non accetta il fatto che sia, davvero, "tutto qui".

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