Il_Paolo "E...state con me", n. 4.

Ciao ragazzi/e, vi sembrerà insolito che sia proprio io a parlarvi di cinema francese, e di François Truffaut in particolare, ma il mio ciclo estivo non deve essere necessariamente all'insegna dei film "da spiaggia", quanto offrirvi occasioni di svago, specie se non avete nulla da fare e vi piace starvene in panciolle a casa a vedere qualche film del passato, dimenticato dai più e dunque - per l'appunto - "minore".

Niente di meglio, dunque, che questo bel giallo ('83), ultimo film di un regista morto relativamente giovane, in quella che poteva sembrare l'Estate della sua vita, prima che la malattia lo prendesse repentinamente e ce lo portasse via a poco più di cinquant'anni, come un improvviso rovescio agostano.

Per invogliarvi alla visione del film, mi sembra d'uopo anticipare un poco della trama: un uomo e la sua amante vengono uccisi in circostanze misteriose, e subito la polizia comincia a sospettare il marito della defunta (J.L. Trintignant) credendolo evidentemente geloso della fu consorte. Il nostro, braccato e credendosi prossimo all'incarcerazione, si dà alla macchia con l'aiuto dell'avvenente segretaria (F. Ardant) - che, ovvio, è innamorata del principale - scoprendo, tassello dopo tassello ed in via non poco rocambolesca, le ragioni degli omicidi e l'identità dell'assassino.

Dico subito che il giallo - tratto da una novella di C. Williams - risulta godibile e sostenuto da un buon ritmo, senza eccessive violenze e soverchie tensioni, in maniera tale da rilassare lo spettatore, anziché inquietarlo o spaventarlo come sarebbe lecito aspettarsi da tanto cinema di genere.

Ma, per quanto importante ed utile per rilassarci e goderci un'ora e mezza di cinema, la trama non è tutto nei film di Truffaut, che mi piace apprezzare anche sotto il profilo formale e stilistico, una volta tanto.

Il film - certamente leggero, quasi un divertissemént se paragonato ad un "Effetto notte" o a un "Adele H." - spicca innanzitutto come un omaggio del regista alla cinematografia noir degli anni '40 e '50, reso evidente dall'utilizzo di un sorvegliato bianco e nero che aumenta la complessiva espressività della messa in scena, dai luoghi, agli interni, ai volti dei vari personaggi, spesso tagliati da interessanti giochi di luce che, rischiarando i visi e soprattutto gli sguardi, sembrano quasi ritagliare la centralità della persona rispetto al contesto, ed al mistero che pur costituisce il motore della trama; al contempo, non possiamo dimenticare come il film voglia essere anche un omaggio ad uno dei principali maestri ed ispiratori di Truffaut - Alfred Hitchcock -, non solo per il genere trattato, ma anche per l'influenza stilistica del regista d'origine inglese scomparso pochi anni prima: l'aspetto è visibile considerando l'ambientazione, il tono stesso della narrazione, dove le certezze e le ipocrisie piccolo borghesi dei luoghi, fisici e mentali, del protagonista vengono via via sbriciolate, obbligandolo all'avventura, alla fuga ed all'insolito, ma anche l'ironia di fondo in cui tutti i personaggi, specie la segretaria, vengono trattati, nel loro minuetto sentimentale, nel loro essere imbranati ed impreparati rispetto agli eventi, quasi come nei classici con Grace Kelly, James Stewart o Cary Grant.

Resta - col senno di poi dello spettatore - una certa malinconia nel vedere questo film, sapendo che si tratta del "testamento" di Truffaut: quasi come se il regista, prima di andarsene, abbia "finalmente" voluto lasciarci una lezione di leggerezza e di buon umore, collegando il respiro di un giallo rosa come questo al respiro stesso della vita e delle sue emozioni.

Ciò che, personalmente, mi lascia più pensare, con un sottofondo di tristezza, sono proprio le ultime riprese del film, dove l'obiettivo di una macchina fotografica, caduto accidentalmente per terra, diviene oggetto del gioco di un gruppo di bambini: con le loro calzette bianche - simbolo di una certa purezza infantile - e con le loro scarpe di vernice, questi palleggiano il simbolo del cinema, quasi a suggerire che la rappresentazione della vita, ma anche la vita stessa, possano essere concepite nella loro pienezza soltanto con uno sguardo infantile, e con l'ingenuità di chi non si stanca mai di sperimentare il nuovo, il diverso, il mistero.

Nuovamente Vostro,

 

Il_Paolo

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