Mi convinco sempre più che il tema del rock e dintorni non sia sempre affrontato adeguatamente a livello cinematografico. E non mi riferisco solo ai cosiddetti biopic, in cui l'artista o il gruppo di cui si narra è sottoposto ad una sorta di frullato in cui tanti episodi della carriera narrata finiscono con l'accavallarsi in un guazzabuglio temporale e a salvarsi resta giusto la recitazione degli attori e attrici. C'è anche la qualità dei documentari realizzati su band e solisti e, almeno nel caso di questo "The Beach Boys" presente sulla piattaforma Disney plus, non si va oltre il dignitoso compitino buono solo per chi approccia per la prima volta la band californiana. Con l'aggravante, però, che la parte finale della pellicola risulta decisamente stucchevole.

L'esposizione dei fatti riguardanti il gruppo californiano è senz'altro corretta. Quello che latita è il tentativo di aggiungere qualche ulteriore particolare illuminante al tutto. Già si parte ricordando che i fratelli Wilson, unitamente al cugino Mike Love e il vicino Al Jardine, erano musicisti e cantanti in erba fin dalla più tenera età. Una gran bella dote, ma sfugge il fatto per cui il loro stile definito "surf music" abbia riscosso così gran successo nei primi anni '60. Già, si sorvola sul fatto che in quel momento il rock'n'roll degli anni '50 fosse entrato in una fase di stallo, con i grandi esponenti come Elvis Presley e Chuck Berry ridimensionati e normalizzati. Occorreva pertanto una scossa nella musica destinata al pubblico giovanile dell'epoca: cosa di meglio di un sound fresco celebrante il surf, il sole,le belle ragazze in bikini in spiaggia e le auto potenti nuove di zecca ? I Beach Boys potevano fare al caso e nelle mani di un impresario spregiudicato come Murray Wilson (padre dei tre fratelli) il contratto presso la Capitol Records fu cosa fatta. Il successo, però, comporto` anche problemi e a soffrire di stress lavorativo fu proprio Brian Wilson, il compositore più raffinato del gruppo, che dopo aver raggiunto lo zenith creativo con "Pet Sounds" e "Good vibrations", cadde in esaurimento nervoso (lavoro impegnativo competere con i coevi Beatles) e non si sarebbe più completamente ristabilito.

La sua crisi non giovò ai colleghi e i Beach Boys sono poi rimasti un po' defilati. Direi che il loro tramonto coincide con un fatto appena citato nel documentario: la band figurò fra i promotori del primo festival pop della storia, ovvero quello di Monterey nell'estate 1967. A fronte dei protagonisti della nuova scena psichedelica rock anglo americana, il loro stile era ormai datato. E riacchiappare il trend musicale generale non fu più possibile. Ormai potevano cantare la nostalgia per quei giorni spensierati passati surfando sulle onde dell'Oceano Pacifico antistante la California, mentre gli USA e il mondo occidentale vivevano un boom economico che pareva eterno ( pia illusione...).

Certo, in questa bella favoletta non vengono taciute le zone d'ombra fra liti, morti di due dei tre fratelli Wilson. Ma ciò che colpisce maggiormente è proprio l'atteggiamento avido e sleale di Murray Wilson che, all'insaputa di tutti gli altri, pensò bene di vendere i diritti d'autore delle composizioni dei Beach Boys alla modica cifra di 700000 dollari ( avete capito bene: 700000 dollari), causando così uno strascico di azioni legali che rovinarono i rapporti tra Brian Wilson e Mike Love. Che altro la gioia di vivere mettendo in musica la dolce vita californiana...

E qui il documentario, sostanzialmente dignitoso, casca a mio parere su una buccia di banana ( e non lo giudico degno della massima valutazione). Mike Love, nel corso dell'intervista finale, fa intendere che nonostante tutto prova ancora affetto per Brian Wilson. E quindi, cosa meglio della chiusura in bellezza con i componenti superstiti del gruppo inquadrati proprio su quel tratto di costa californiana ove fu scattata la foto riportata sulla copertina del loro primo lp? Un finale proprio forzato all'insegna del "volemose bene" che ha tutta l'aria del dolciastro appiccicoso.

Insomma, un'occasione persa per evitare di addolcire una vicenda che non getta una bella luce su una band dall'ottimismo conclamato. E non è solo il fatto che, dopo il montaggio della pellicola, è giunta recentemente la notizia che le condizioni di salute di Brian Wilson sono peggiorate per l' aggravarsi del morbo di Alzheimer e i suoi familiari hanno optato per porlo in affidamento medico ( purtroppo il tempo passa per tutti).

A tutto questo aggiungerei che sarebbe bene, per addetti ai lavori e pubblico, non dare troppo peso a tutte quelle iniziative volte a rinverdire i fasti dei superstiti della vecchia guardia rock. Finché si tratta di tener desto il ricordo di pagine gloriose della musica può andare (soprattutto per chi oggi è tanto giovane da non sapere). Ma quando si viene a sapere di reunion di vecchi gruppi ( non sto a far nomi, si sa chi è ancora in giro), è meglio non farsi illusioni sul buon esito. Cosa potrebbero fare, giusto per fare un esempio, i residuali Beach Boys ora che Brian Wilson ( definito il Mozart californiano) osserva con volto smarrito ciò che lo attornia?

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