Il terzo della trilogia kafkiana di romanzi incompiuti e pubblicati postumi dal caro amico Max Brod si disvela al lettore come un'opera cruda, amara, cupa e riflessiva. Benché privo dell'alone surreal-paradossale che aveva contraddistinto - ad esempio - il celebre Processo e uno dei migliori racconti, La Metamorfosi, America ripropone la figura del protagonista reietto, abbandonato e costantemente umiliato dal resto della società, l'omuncolo debole, annichilito dal peso della propria congenita inettitudine e corroso da una strana meschinità imperversante e inarrendevole. Ora, il decadente individuo straziato dalla crudeltà del reale e dell'umano tenterà - senza successo - il riscatto nella culla del liberalismo, la terra dove anche l'inettitudine e la mollezza dovrebbero essere intregrate a pieno regime nella massa di lavoratori liberi e sottoposti al controllo non arbitrario e discrezione di Sua Maestà la Legge.

America è la storia di un giovane emigrante tedesco quindicenne costretto dai suoi genitori a lasciare l'Europa e a imbarcarsi per New York perché colpevole di aver ingravidato la governante trentacinquenne (in realtà è stata quest'ultima ad averlo sedotto). Giunto sul suolo Americano, Karl Rossmann si imbatte in uno zio-magnate ricco e appagato che dopo averlo accolto in casa sua per alcuni mesi lo allontana per motivi futili e discutibili. Nuovamente "on the road" il giovane cerca in tutti i modi di sistemarsi professionalmente, tuttavia l'America della Giustizia e del Rigore non intende accoglierlo: fallita anche la permanenza come ascensorista presso un albergo e infinocchiato da una combriccola di vagabondi senza scrupoli, Karl trova posto come manovale al Teatro di Oklahoma. La narrazione si interrompe proprio sul trasferimento del giovane verso il MidWest e la speranza di un avvenire meno severo.

A metà fra la denuncia al trattamento iniquo degli emigrati europei negli States - costretti a patimenti, vessazioni e ingiustizie esplicabili solo con i pessimi pregiudizi degli autoctoni - e la figura dell'Uomo sopraffatto dall'inettitudine e dalla debolezza d'indole darwinianamente destinata alla sofferenza, America offre molti spunti di riflessione e di esegesi critica. Nel romanzo spicca la figura di Karl, giovane sfortunato ma tenace che è stato per natura indirizzato alla peregrinazione perenne, al disdegno e all'inganno dei compagni nei suoi confronti e alla totale incapacità di ascendere ad un ruolo sociale più elevato. E in tutti i rifiuti, le iniquità e le violenze da lui subite il richiamo all' "eroe" del Processo pare immediato: due soggetti isolati senza motivazione apparente, condannati per una condizione inconscia e "naturale" piuttosto che per questioni di classe, discendenza ed estetica, inadatti ad una realtà misera e decadente, dominata dalla furbizia e dalle Leggi dei dominatori "di nascita". E' l'Uomo che fa la differenza, il suo status primitivo e intrinseco, la propria "natura". Karl, vessato dalla governante, dai genitori, dallo zio e dai colleghi d'affari, dai compagni di vagabondaggio e dallo "staff" dell'Albergo Occidentale, è tuttavia un individuo che persevera nel suo cammino alla ricerca del lavoro e della stabilità e la sua resistenza al malvagio si riflette nell'accettazione delle varie vicende (la scacciata dalla magione dello zio, l'ingiusto licenziamento da ascensorista, le beffe e le violenze dei due amici/nemici) in una lodevole semi-asetticità, in un cinismo costruttivo in grado di farlo rialzare in piedi.

Karl Rossman rappresenta dunque un eroe kafkiano "sui generis", un misto di inettitudine e reazione, di passività e attività, e non un blando omuncolo totalmente pervaso dalla malignità del sistema in cui è iscritto e viene definito. Non è un Josef K. ucciso dall'impotenza di un ego alienato, non è il Gregor Samsa degradato parossiticamente a insetto e disconosciuto da quelli che erano i suoi famigliari. Il giovane si muove, si difende e tira fuori le unghie, replica alle offese e alle insolenze e, nel caso in cui ve ne sia la necessità, fugge dai falsificatori della Legge in nome dei Potenti per natura. Non sappiamo se Karl, l'ibrido fra debolezza e resistenza, potrà un giorno spostare a suo favore l'equilibrio di tale "bilancia", il futuro verso Oklahoma come operaio rimarrà un perenne mistero, tuttavia la conclusione "non intenzionale" del romanzo indica già la volontà dell'autore di non far soccombere così facilmente il suo protagonista, ma di dargli una sorta di chance in un contesto (gli USA) diverso dal vuoto dell'Europa misera e guerrafondaia.

Narrazione incompiuta, peraltro inceppatasi sulla probabile (magari nuovamente momentanea) risalita del protagonista, America è un lavoro dalle tinte sfaccettate, seppur impregnate di scuro, produzione in cui l'autore pare riscattare un po' la dignità dei suoi personaggi, tuttora in una fase di limbo creativo che mai verrà alterata.

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