"Il Processo" narra la vicenda dell'impiegato di banca Joseph K., arrestato e giudicato da un misterioso tribunale senza che gli venga rivelata l'imputazione: sebbene innocente, subisce  passivamente l'interrogatorio, finisce per autoaccusarsi e verrà giustiziato. Il protagonista subisce quindi la violenza di un potere incomprensibile e di un meccanismo oscuro, viene processato per una colpa reale o presunta che non gli sarà comunque mai rivelata, sebbene respinga l'accusa di aver violato la legge. Ma quale legge? Una legge incomprensibile per l'uomo, eppure incombente su di lui fino a farlo sentire profondamente colpevole.

Questa situazione poi, viene raccontata dal narratore esterno, senza figure retoriche e anzi in modo realistico e minuzioso, facendo si che una situazione del tutto inverosimile e assurda diventi assolutamente normale: questo artificio narrativo rende gli eventi ancora più angoscianti per il lettore, costantemente dalla parte del personaggio-vittima, costringendolo quasi ad una lettura veloce e straniante che possa portare all'epilogo, qualunque esso sia, dell'incubo. Epilogo che sarà desolatamente tragico: le ultime parole del protagonista, mentre viene giustiziato con un coltello nel cuore, sono "come un cane", rassegnata protesta contro la disumana giustizia di un tribunale "invisibile" dove non era mai arrivato, giudicato da un giudice che non aveva mai visto.

Il tribunale invisibile e i crudeli giustizieri di Joseph K. possono essere interpretati come oscure personificazioni del senso di colpa dell'uomo contemporaneo, oppure, in prospettiva religiosa, come il giudizio divino che persegue finalità incomprensibili all'uomo o ancora più "semplicemente", in una dimensione sociale, come ingranaggi della burocrazia di Stato e della giustizia, che stritolano l'individuo, fino a condannare un innocente. Ma le interpretazioni, seppur legate al motivo della colpa e della condanna (motivi principali della produzione Kafkiana) possono essere altre, ed è proprio questo il fascino del romanzo, la sua ambiguità che lo rende aperto a interpretazioni soggettive.

Mi permetto di citare le ultime righe del racconto, spiazzanti, che mi hanno lasciato pensieroso sulla visione della vita di Kafka; a quel punto decisi di leggere "la metamorfosi" non sapendo che l'incubo non era ancora finito...

"ora  le mani di uno dei signori si posarono sulla gola di K. mentre l'altro gli immergeva il coltello nel cuore e ve lo girava due volte. Con gli occhi prossimi a spegnersi K. fece in tempo a vedere i signori che vicino al suo viso, guancia contro guancia, osservavano l'esito. "come un cane!" disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere."  

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