Entrare ne “Il Processo” di Kafka è entrare in un incubo di 250 pagine. Fin dalle prime pagine, ci si perde immediatamente nei meandri e nelle maglie di una "giustizia" vischiosa e cangiante, di una burocrazia dinosaurica, abietta, ipocritamente mediocre, in un volgare girotondo dell'assurdo, dove per terra non finisci mai, perchè finisci direttamente sottoterra.

È in questo oscuro magma che Josef K. si ritrova impastoiato suo malgrado, cercando di comporre un mosaico ma disponendo solo di tessere bianche …o nere se preferite.

L’incipit è potente e straniante al contempo. Di buon mattino, due funzionari irrompono nella sua camera per consegnargli un’istanza del tribunale. K viene citato a giudizio, per cosa non è dato sapere ma sembra grave.

Ha così inizio l’odissea di un uomo, un giovane funzionario di banca, non tanto alla ricerca della “verità” quanto delle motivazioni, delle circostanze, insomma del perché del tutto. Non otterrà mai una benchè minima risposta ed anzi si ritroverà sempre più impantanato nei quintali di fango che il “sistema” gli rovescerà addosso, senza comprenderne il motivo.

Sebbene ci si trovi nella letteratura dell’assurdo, all’interno di un contesto visionario e delirante, surreale e drammatico, la sensazione di disagio che si prova nel leggere e nel cercar di comprendere è reale.

L’ansia e l’angoscia di K. si riflette perfettamente nel lettore in questo incubo ad occhi aperti, morboso e tentacolare. L’ala nera della Giustizia incombe su K. e su tutti noi e si spande e allude e minaccia, rappresentata dai molteplici personaggi con i quali il nostro s’imbatte nel suo vorticoso peregrinare all’interno di un labirinto infernale. Siano essi giudici o avvocati, impiegati o modesti funzionari, clienti “esperti” che si trovano nella stessa situazione di k. insomma sono “a processo” magari da molto tempo più di lui, tutti sono rappresentati in modo sghembo e alieno. Tutto appare tanto ineluttabile quanto incomprensibile. K. lotterà con tutte le sue forze contro questa opprimente Giustizia, contro questa entità opaca, oscura, tanto potente quanto imperfetta, ritrovandosi però sempre più stanco e smarrito, sempre più assalito da dubbi sui suoi interrogativi, piuttosto che da risposte. Sarà una lotta contro un mulino a vento gigantesco con le cui pale vorticano incessantemente, instancabili ed indefesse.

Il Processo, insieme con Il Castello e America, compongono un’opera di straordinaria importanza nella letteratura moderna. Forse mai era stato scandagliato l’animo umano con tanta precisione e senza sconti. Un uomo “moderno” alla deriva, perso nell’incomunicabilità verso i suoi simili, imprigionato nelle maglie di un sistema ottuso e arbitrario, che se non riesce a darti una colpa concreta ti affibbia comunque un senso di colpa. Un uomo consumato e consumatore, spinto a forza nel diabolico circuito del vivi-produci-crepa e senza manco uno straccio di spiegazione.

Un romanzo “saturo d’infelicità”. (Primo Levi).

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