Ciao ragazzi/e, dopo qualche giorno di pausa eccoci di nuovo assieme per riprendere il nostro avventuroso viaggio nella musica italiana c.d. "minore", stavolta tornando indietro nel tempo fino alla metà degli anni '60, assieme ad una guida come il grande, ed oggi un po' dimenticato, Fred Bongusto (n. 1935).
Cantante dalla voce suadente, che spicca nei toni bassi e di distingue per quel suo essere quasi sporcata da qualche sigaretta di troppo, compositore raffinato, in grado di combinare melodismo latino con echi jazz e swing, il molisano Buongusto viene annoverato fra gli iniziatori del c.d. sottogenere "confidenziale", ovvero di quella musica suonata soprattutto nei night, nei piano bar, ed in genere in piccoli circoli, sovente caratterizzata da tematiche sentimentali - volte quasi a favorire sguardi d'intesa e sfregamenti fra avventori del locale - e da una sottile vena di malinconia, non priva, per questo, di uno sguardo disincantato ed ironico sul mondo.
Bongusto risulta, a mio parere, come il perfetto interprete di una certa (neo) borghesia italiana degli anni immediatamente successivi al boom economico, ricca e dimentica delle tragedie della guerra e della povertà, alla ricerca di una affermazione e di un riconoscimento sociale, replicando in chiave modesta, ma non meno sfacciata, gli agi, ed i vezzi, di un certo jet set internazionale: dalla macchina sportiva nuovo modello, alle vacanze nelle riviere ed isole più esclusive, passando per il tennis o interminabili sfida serali, fra gin e zanzare, a poker e baccarat.
Vi è, in Bongusto, una descrizione, talvolta esplicita e talora appena suggerita, degli agi in cui si muove il protagonista, sempre maschile, delle singole canzoni, un Io narrante che si perde ora pieno di sé, ora stolido, nei fumi dei locali, nei contesti estivi dove spicca come ineffabile tombeur de femmes; ad essa, tuttavia, si accompagna, quasi come un motivo sotterraneo e ricorrente, una certa ombrosità di fondo, una sottile consapevolezza della fatuità delle storie narrate, che incornicia i singoli racconti in una chiave assieme struggente e - passatemi l'apparente ossimoro - divertita, sovrapponendo registi narrativi e livelli di interpretazione.
Prendiamo da questa antologia uno dei pezzi più famosi, ed al contempo riusciti, di Buongusto, come "Spaghetti a Detroit": l'arrangiamento swing jazz, la voce filtrata come da un vecchio grammofono anni '20, fanno da contorno alla fine di un amore narrata fuori dai canoni ordinari, dove il protagonista, ritornato in una ipotetica Italia, si lamenta di non mangiar più con il gusto ed il piacere che provava negli States, assieme a Lola, sua bella di turno. Il registro interpretativo, tuttavia, non ha quel tocco melodrammatico che può spiccare in altri autori affini (da Di Capri a Califano), ma, proprio enumerando il pasto tipo dell'amante deluso, ovvero "spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè...", Bongusto strizza l'occhio all'ascoltatore, lo invita a non prendere troppo sul serio la vicenda, come del resto emerge dall'insistito accento italo americano con cui viene pronunciato il nome della immaginaria Detroit, partorita dallo stesso spirito della Chicago di un Buscaglione.
In altri pezzi, come "Tre settimane da raccontare", le note "Una rotonda sul mare" e "Guarda che luna, guarda che mare", descrivono, invece, il trascorrere ed il finire degli amori in un simbolico contesto estivo: se la situazione appare abusata, sono anche qui sono i toni della narrazione a fare la differenza rispetto ad altre canzoni dell'epoca o successive, quasi tingendo di vivida poesia l'ordinario farsi e disfarsi degli amori, travestendo e travisando la realtà per conferire ad essa un carattere straordinario - da raccontare e da cantare - anche quando essa si svela in tutte le sue miserie e tristezze. Si tratta, in sintesi, di artifici, in cui tutti i clichè romantici vengono enfatizzati, ed al contempo smitizzati, in quanto funzionali a ornare una verità più semplice, forse più amara di quella artefatta dall'ardore del sentimento.
In brani come l'altrettanto nota "Balliamo", Bongusto sembra quasi guidarci in un mezzo alla pista di un night sull'acqua, o di un bar delle brumose periferie di una qualche metropoli del nord, descrivendo amori fugaci, mezzi pazzi ed imprevedibili, in cui tutto ciò non è quel che sembra, con un senso di precarietà e fragilità. Il divertimento e lo svago velano, anche qui, il significato intimo, quasi esistenziale, della poetica di Bongusto, nella convinzione - alla grande Gatsby - che forse l'età dell'oro non è che un mito, l'anticamera di un collasso imminente ed ineluttabile, di fronte al quale non resta che l'ebbrezza dell'attimo e degli sguardi, complici e fugaci, al chiaro di luna sulla spiaggia o al bagliore di un lume nell'ultimo night di periferia.
Ebbramente Vostro,
Il_Paolo
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