Quando ancora la preistoria del rock italiano non era nemmeno iniziata, il belpaese veniva ugualmente coccolato da ottimi interpreti di musica leggera, tra i cui nomi più rilevanti rimangono senza dubbio Domenico Modugno, Renato Carosone e Fred Buscaglione. Occupandoci in quest'occasione del terzo, dobbiamo fare innanzitutto un paio di digressioni.

Torinese, classe 1921, Buscaglione si segnala sin dall'adolescenza come uno dei migliori contrabbassisti della zona locale, lasciando presto il conservatorio per continuare la propria formazione proprio in quei "night" che tanto suggestivamente decanterà nel proprio futuro repertorio. Mentre milita tra l'altro nella formazione del maestro Gino Filippini conosce quel che diverrà il suo mitico paroliere, un laureando di nome Leo Chiosso. Costretto ad arruolarsi per la Seconda Guerra Mondiale viene catturato dagli alleati e internato in un campo in Sardegna, dove il nostro non si svilisce, anzi. Affascinato dal contatto con gli americani e la "loro musica" entra nella band militare che tramette dalla radio alleata. Una volta tornato alla vita civile inizia una carriera di musicita d’eccezione, che lo porta a cimentarsi con band prestigiose (come il trio di Germonio) in tournée di respiro europeo.

E’ in questo periodo, nei primi anni '50, che Fred comincia a scrivere i primi brani di proprio pugno assieme a Chiosso e da musicista si trasforma ne "il cantante con la voce di carta di vetro". Esce l'esordio "Che bambola", e 980.000 copie nel 1956 significano un successo strepitoso. Il nostro decide quindi di inventarsi una carriera da swing-crooner, di diventare un "Sinatra de noartri". Ma ben consapevole di non poter competere alla pari con i rispettivi colleghi d'oltreoceano, imbastisce un personalissimo immaginario ai confini della parodia dell'american-way-of-life, e soprattutto della mitologia da noir-gangster story. Agli eroi duri e puri d'oltreoceano che ammaliavano ai cinematografi le sempliciotte folle italiane del dopoguerra, Fred contrappone un look peperino alla Clark Gable - con tanto di baffetto, sigaretta incorporata alla bocca e occhio laguido - che si prende però burla di tanti stereotipi col suo fare destabilizzante e impertinente. Crea il personaggio dell'italo-americano anche troppo italo, che preferisce uno spettacolo di Gianni e Pinotto ad un pranzo con Kim Novak, che fa lo spaccone con le donne e poi si va ridurre sul lastrico, costretto a vendere pure il gatto o a farsi prendere a rivolverate dalla moglie-tiranna. Scimmiotta con omaggio un mondo favolistico che non gli (/ci) potrebbe appartenere, se non in una versione appunto più maccheronica, più vera, dando vita a scenette deliziose che si divertiva lui stesso a riproporre in tv recitando in divertenti "proto-videoclip" e partecipando a film veri e propri, magari con cameo spassosi e fulminanti.

E mentre i racconti si susseguono nel greatest hits di turno (non esisteva ancora la concezione di "album" come la intendiamo noi, e quindi tutto ciò che potete trovare sono raccolte di 45 giri) ci sentiamo a casa pur ascoltando racconti di sparatorie, bionde platiné "modello 103", mascelle rotte e personaggi loschi con nomi tipo Jack Bidone, Jim La Peste, Billy Car, Jimmy lo Sfregiato (o acerrimi nemici come il poliziotto Peter Kan che riesce anche a beccarsi un biliardo in testa). Fascino latino, buonumore irresistibile e tanta classe, questo il segreto della ricetta.

La musica dalla sua ci lascia letteralmente a bocca aperta, stupiti come bambini mentre sentiamo il lavoro di una grande band (gli "Asternovas") che oltre a evidenziare notevoli doti swing-jazzistiche fa la linguaccia a se stessa con scherzi virtuosistici, incredibili assoli di batteria e fiati tirati allo spasimo. Senza contare gli "effetti speciali" che riesce a produrre, creando tappeti di suspance degni delle migliori colonne sonore, giocando sugli strumenti facendoci sentire le pistolettate o le scazzottate tra bande rivali a suon di colpi di rullante e schiamazzi di tromba. È un mondo pirotecnico e geniale che - vuole la leggenda - Fred era deciso a far evolvere verso frontiere più ambiziose e moderne. Stanco del grande successo riscosso, voleva infatti abbandonare i panni dell'icona che si era cucito addosso. Voleva diventare anche lui un vero "cantautore", esporsi su un genere musicale più personale, che non avesse debiti con la cultura anglosassone, formulare qualcosa di nuovo e di genuinamente italiano. Sicuramente un sentore di preavviso era stata la sentita decisione di reinterpretare l'innovativo quanto riuscitissimo cavallo di battaglia del "rivale" Modugno "Nel blu dipinto di blu".

Purtroppo come sappiamo non riuscì a concretizzare i propri progetti, colpa di quella maledetta alba romana in cui si schiantò fatalmente con la sua Thunderbird rosa confetto. Una fine degna dei suoi bulli pedinati dalla polizia, peccato che questa volta non era uno scherzo, e neanche una canzone. Era il 3 febbraio del 1960. Da allora sono passati troppi anni e soprattutto è passata sopra tutta la storia musicale moderna del paese, fatta di bellezze e brutture, fioriture, decadenze e rinascite. E sarebbe facile quindi dimenticarsi di quell'australopiteco del pop che dondolava sornione facendoci innamorare di sé, del suo "whisky facile" e dei suoi alter-ego come il mitico Porfirio Villarosa o Dave lo Sciccoso.

Rispolveriamolo invece ogni tanto, perché le foto dei nonni da giovani sono sempre le più dolci, simpatiche. E commoventi.

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