Ascolto questo ritornello: "La terra trema, la terra trema ma non c'è nessun problema" (da "La pianura di Cortina"), poi questa strofa: "Crolla il palazzo di sabbia montata, sono incastrato tra frigo e divano/crolla la casa mai controllata ma ho l'Iphone in mano" (da Venezuela) e rendendomi conto che non sono state scritte oggi o ieri, ma un anno fa, parlano di noi, di questo paese allo sfascio e della nostra indifferenza di fronte a quello che Giorgio Gaber (vero mentore di Freddie) chiamava "il vostro sfacelo".
Di Gaber l'artista milanese trasferitosi in Africa da dieci anni, dopo il fortunato esordio discografico "Nel regno degli animali", ha il dono della cassandrite, mentre l'ironia pungente sembra averla presa da quel Rino Gaetano di cui è stato recensore in un bel libro ("Se mai qualcuno capirà Rino Gaetano").
Perché questo personaggio atipico, Freddie del Curatolo, è scrittore, saggista, musicofilo, volontario in Kenya, teatrante e anche un po' cantautore.
E le sue canzoni sono belle, profonde ma non stucchevoli. Per il suo secondo album "Esilio Volontario" si è affidato ad un amico cantautore, il massese Stefano Barotti, e a un manipolo di ottimi session men, tra cui spiccano l'ex De André e Fossati Mario Arcari ai fiati e la chitarra di Armando Corsi, a impreziosire il gioiello finale "Venezuela".
Esilio Volontario è un disco sorprendente, con la visione lucida che spesso riesce ad avere soltanto chi si mette in disparte e ci guarda, più sconsolato che divertito o autocommiserante.
Un album che, come tanti, passerà inosservato, inascoltato e resterà un piacere di pochi.
Come sembra essere oggi la ricerca di un senso.
"Perché è solo di sete d'amore, di bellezza e conoscenza. E' di felicità che si deve morire" (da Taireni).

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