Scorci di una provincia americana degli anni 50 bigotta e fatta in gran parte di fattorie, foreste e lunghe distanze da percorrere attorno ad un piccolo centro abitato in cui vengono svolti “bei mestieri di una volta”, come direbbe Mike Bongiorno, come il negozio riparazioni di radio e televisori.

In questo scenario l’autore piazza come elemento combina casini un extraterrestre fatto di sola mente ed un guscio protettivo, ed in grado di impadronirsi della mente delle creature presenti su questo pianeta (animali ed umani) grazie a forti poteri ESP per farne degli schiavi al suo servizio.

Più che di controllo è forse opportuno parlare di una “quasi” fusione tra la mente del controllato e quella del controllore, e qui sta il nodo narrativo principale del romanzo: l’extraterrestre, preso il controllo di una creatura rimane intrappolato al suo interno fino alla morte di questa, e non potendo controllare più creature contemporaneamente, per potersi liberare e prendere il controllo di un’altra più utile ai suoi scopi deve far suicidare quella che sta controllando.

Non sto spoilerando nulla, quel che ho detto è reso noto praticamente fin dall’inizio del libro, e questo modo di giocarsi l’idea base da parte dell’autore mi ha un po’ lasciato con l’amaro in bocca, forse perché il titolo mi aveva messo addosso l’aspettativa di aver per le mani una corta di thriller hitchcockiano.

E dopo aver letto il libro penso che se fosse stato effettivamente impostato come un’indagine volta a chiarire la causa di misteriosi suicidi tenendone all’oscuro anche il lettore fino alla fine, probabilmente sarebbe risultato più avvincente.

In fin dei conti si tratta di una lettura comunque piacevole, in cui si può godere dello stile sobrio ed elegante dell’autore. Personalmente mi è stato anche possibile tappare qualche buco della mia cultura (che in quanto a buchi fa a gara con l’Albert Hall dopo il passaggio di John Lennon) venendo a sapere dell’esistenza degli esperimenti di Rhine e dei porci di Geraseni.

È il primo romanzo che mi capita di leggere di Fredric Brown. In precedenza mi è stato possibile apprezzare le sue peculiarità di scrittore di racconti di fantascienza avendo letto, credo, una buona parte di quelli che ha scritto, e direi che la sua fantascienza tiene bene anche sulla lunga distanza, e senza parlare neanche una volta di linotype.

Le quattro stellette se le merita da parte mia soprattutto per le ultime 20 pagine in cui il ritmo si fa più intenso. Il finale non mia ha particolarmente soddisfatto, speravo in qualcosa di più inquietante nello stile di alcuni racconti di Brown.

Ora mi butto a capofitto su “Assurdo Universo” consigliato dal buon Mac.

Buon anno ragassuoli e speriamo che il 2022 ci restituisca un Iside più schtruz che mai.

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