Settimana funerea questa di metà marzo 2015 per i bassisti: domenica scorsa è passato a miglior vita, dopo lunga ed orrenda malattia (la SLA, una sclerosi delle peggiori) Mike Porcaro dei Toto, mentre il giorno dopo lunedì 16 è stata la volta di Andy Fraser, straordinario bassista dei Free. Da autentico suo ammiratore son qui a scrivere due righe su di lui, appoggiandomi al suo indubbio capolavoro di carriera (in coabitazione col cantante Paul Rodgers), le cui royalties in pratica hanno fornito buona parte di sostegno economico alla sua vita da adulto, del tutto avara di soddisfazioni artistiche.

Fraser è il primo a destra in questa copertina britannica del vendutissimo 45 giri del 1970. All’epoca aveva ancora diciotto anni! Quando i Free iniziarono a far dischi nel 1968 ne aveva perciò sedici (gli altri giusto un paio in più… fatto sensazionale se messo in rapporto con il tipo di rock blues attento, appoggiato, adulto espresso dalla formazione). Nel 1972, quindi ancor ventenne, se n’era già andato dal gruppo, allo sbando a causa dei problemi di tossicità del chitarrista Paul Kossoff… e poi non faceva altro che litigare col compare Rodgers, come fanno due galletti nello stesso pollaio.

Storie diametralmente opposte fra i due vincenti e i due magnifici perdenti del quartetto: Rodgers e Kirke ad accumulare gloria e soldi nei Bad Company, il gruppo nato nel 1974 dalle ceneri dei Free con medesimi contenuti musicali ma ben altro management (quello dei Led Zeppelin), il povero Kossoff invece a collassare e morire durante un viaggio in aereo, a soli ventisei anni, strafatto dalle droghe. A Fraser invece è toccata dall’abbandono dei Free in poi una vita nelle retrovie del business musicale, segnata dall’incapacità di riciclarsi e ripartire efficacemente come invece successo ai due ex-colleghi più fortunati ed abili. Insomma, il meglio della sua carriera gli è toccato da teenager, poi nei successivi quaranta e rotti anni non ha toccato palla: incredibile, se si guarda al suo talento.

Era il compositore principale dei Free, il più tosto dato che agli inizi toccava a lui, pur essendo il più giovane fra i giovani, affrontare i gestori dei locali dove suonavano per farsi consegnare la paga della serata. “All Right Now” gli venne fuori di getto durante una discussione nei camerini dopo un concerto, intorno al fatto che il gruppo avesse un repertorio troppo compassato, povero di pezzi autenticamente trascinanti. Afferrò una chitarra e buttò giù il celebre riffone sincopato, nonché il beneaugurante verso “All Right Now” per il ritornello.

Le eccellenze del chitarrista e del cantante che stavano con lui fecero il resto. Kossoff in particolare si inventò un rivolto nel passaggio fra Re e La del riff di rara pastosità ed efficacia armonica; talmente buono che si decise di sviluppare prologo ed intera strofa senza il basso, con la sola chitarra elettrica a staccare sopra il tempo nudo e crudo scandito dalla metronomica batteria di Simon Kirke. Come succedeva spesso nella musica dei Free, spazi enormi restavano allora aperti per il canto blues mobilissimo e accorato di Rodgers, messo completamente a suo agio dagli stili così economi e sincopati dei suoi compagni.

Fraser arriva col suo strumento al sopraggiungere del ritornello, stupendo subito perché invece di modulare seguendo il cambio di accordi della chitarra, resta ostinatamente e genialmente nel suo riff in La, e lo fa talmente a lungo che la caduta in glissato all’ottava inferiore, al concludersi del passaggio, viene percepita quasi come una liberazione. Anche il suono del suo basso è speciale, grazie al tocco imprevedibile delle sue dita e alle caratteristiche timbriche dello strumento della Gibson da lui maneggiato, così legnoso e armonico.

Un altro colpo di genio e creatività di Andy sopraggiunge al momento del break strumentale: il batterista mette il rullante a marcetta, attende un paio di stilettate di Kossoff dalle retrovie e poi lo lascia da solo a disegnare un riff nuovo di zecca e speciale… poche note che si chiudono in due coppie di armonici, una figata pazzesca di groove sopra il quale si infila stavolta a tutto volume il buon Kossoff, ispirato a dipingere uno dei suoi assoloni a una nota al minuto, incantevole, mentre il quarto uomo Rodgers, in pausa canto, stacca qualche accordo di pianoforte giusto per non far perdere di vista il giro armonico.

Quando Kossoff ha finito di risalire la tastiera della Les Paul e vibrato tutto il vibrabile, nella maniera passionale e musicale che solo lui sapeva mettere e che ancor oggi fa schiattare d’ammirazione e invidia molti chitarristi (Bonamassa uno di questi, ad esempio), Kirke chiama tutti a raccolta con una rullata di recupero e il gruppo compatto è pronto per un’ultima strofa ed il finale.

Quando si parla dei migliori bassisti rock è doveroso ricordare il povero Fraser, vittima anch’esso del virus HIV ovvero della sua omosessualità mal gestita a livello salutistico. E dire che a sessant’anni non aveva un’oncia di grasso addosso, tonico e asciutto ancor più che da ragazzo… Grazie di tutto e per sempre, Andy.

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