Lo so cosa state pensando. Avrebbero potuto scegliersi un nome decente. O perlomeno non questa onomatopea di cattivo gusto che tanto ricorda i nostri sforzi più intimi. Ma vi chiedo di non lasciarvi distrarre dai flatulenti pensieri che vi ronzano in testa e di concentrarvi piuttosto sulla squisita copertina a mosaico. Decisamente più in linea con le sognanti atmosfere che questo gruppo riesce a regalare.

Avete esorcizzato tutti i preconcetti ora? Bene, perché i Fruupp sono senza dubbio meritevoli delle vostre attenzioni. La band si forma all’inizio degli anni settanta, in una Belfast martoriata dai disordini, sotto la guida del chitarrista Vince McCusker. La musica che ci propongono si astrae e dissocia da quel desolante clima di tensione, per trovare rifugio in un fantasioso universo romantico, dove è la sensibilità di questi artisti a dominare la scena.   
Il loro è un prog sinfonico, dai toni rilassati e dalle forti tinte pastorali, che non disdegna però qualche puntata elettrica e passaggi strumentali più ruspanti, anche se mai propriamente aggressivi. Un sound compatto e corale, che rifugge inutili leziosità, nel quale ogni strumento trova la propria dimensione. “Future Legends” è il debutto discografico della band e con tutta probabilità resta il loro lavoro più riuscito. Nonostante risenta dell’ingenuità tipica degli esordi, evidente in particolar modo negli arrangiamenti e nella registrazione scalfita dagli inesorabili segni del tempo, il disco contiene degli ottimi spunti ed è testimone di una vena creativa effervescente e di un raffinato senso armonico. In molti hanno associato “Future Legends” ai Genesis di “Nursery Cryme” ed il paragone in effetti ci può stare, sebbene ritengo giusto altresì sottolineare che i Fruupp hanno una propria identità ben delineata. Anche le liriche sono in tema con la proposta musicale e narrano dei racconti riferiti ad un prete da un errabondo commensale. Una sorta di concept, in poche parole.

L’opera si apre con un’omonima breve overture dal sapore neoclassico, alla quale si contrappone un laconico e corale epilogo dallo stesso titolo. Nel mezzo scorrono rigagnoli di pura melodia. A partire dalla grintosa “Decision” e il suo retrogusto jazzato, per proseguire con “As Day Breaks with Dawn” e la sua anima sospesa tra irruenza rock e delicati acquerelli emozionali. Anche la successiva “Graveyard Epistle” gioca sui medesimi contrasti, impreziosita da un’esotica sezione centrale nella quale spadroneggiano le evoluzioni di un oboe. Le leggende procedono senza intoppi, con l’epica “Lord of the Incubus” e le delicate arie bucoliche di “Olde Tyme Future”, fino ad arrivare alla conclusiva “Song for a Thought”. E mai pensiero fu più ispirato, lungo questi solchi. Un viaggio ipnotico che ci accompagna al crescendo finale, caratterizzato da un’eruzione di sinfonismi. Questo non è il prog che si specchia. Niente sfide cappa e spada di impareggiabili virtuosi. E nemmeno disperata ricerca di inafferrabile innovazione.

Con questo disco i Fruupp ci insegnano che quando è la fantasia a guidare le nostre azioni possiamo anche aspettarci risultati sorprendenti.   

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