PREMESSA: Solo per i più coraggiosi, probabilmente la mia recensione più lunga. Ma questo non perché "Dreamfall: The Longest Journey" è semplicemente il mio videogioco preferito, ma porta con sé tutta una serie di emozioni indelebili che neanche alcuni tra i migliori film sarebbero in grado di donarmi.
Dopo ben sei anni di spasmodica attesa (il 1999 era ormai lontanissimo e tutti gli appassionati di avventure grafiche che si rispettino – e non solo – pendevano dalle labbra di una delle eroine più umane e originali della storia dei videogiochi), il tanto vociferato sequel, di cui quasi si erano perse le speranze, finalmente arriva.
Probabilmente molti di voi, soprattutto quelli meno avvezzi ai videogiochi o anche gli easy-gamers (quelli che PRO EVOLUTION SOCCER e Tekken!) non sapranno neanche dell’esistenza di questo titolo. Da fan sfegatato di questa saga ancora incompleta e che ancora tanto ha da dire, posso dirvi che l’attesa è stata del tutto ripagata. "Dreamfall: The Longest Journey" è un’esperienza interattiva magica e ipnotica, scaturita dalla mente di uno che le storie le sa raccontare: Ragnar Tørnquist si pone a metà fra un cantastorie medievale e un più moderno autore di cyberpunk.
Ma andiamo con ordine. Prima di sciorinare le mie lodi al signor Tørnquist per il lavoro certosino svolto ai fini della creazione di questo gioiello del mondo videoludico, mi tocca fare un (più o meno) breve riassunto della puntata precedente, per chi se la fosse persa.
Dreamfall è il secondo capitolo della saga di The Longest Journey (e andrebbe considerato più correttamente come spin-off che come sequel) inaugurata dal titolo omonimo, considerato una pietra angolare dagli adventure-gamers che in quei tempi erano in carestia.
In quel clima di povertà di idee e scarsità di avventure, "The Longest Journey" diede nuova linfa al genere, riconfermandone le caratteristiche essenziali (la possibilità di muoversi e compiere varie azioni col solo ausilio del mouse e la risoluzione – che talvolta ti porta anche un mese intero – di rompicapo), ma arricchendolo con una trama talmente avvincente da tenerti incollato allo schermo per tutta la durata, nonostante le premesse pericolosamente banali e sempliciotte.
Una ragazza di campagna da poco trasferitasi in città scopre di avere un ruolo cruciale nelle vicende che coinvolgeranno i due mondi paralleli Stark (il mondo in cui noi tutti viviamo ma proiettato in un futuro lontanissimo, dominato dalla scienza, dalla razionalità e dalla disillusione: una specie di Trainspotting in salsa cyberpunk pieno di locations decadenti) e Arcadia (il mondo della magia, del mutevole, dell’instabile, dell’essere possibile : una terra apparentemente fiabesca ma piena di inganni e insidie). Ciò che ci piace tanto della trama di "The Longest Journey" è il modo in cui è raccontata, nonché la capacità di affrontare con le basi di una ‘semplice storiella fantasy’ tematiche di un certo calibro quali cieca fede in una religione o in una filosofia di vita (sia i buoni che i cattivi del gioco hanno dei picchi di fanatismo da questo punto di vista, dato che ci si sente più sicuri a stare dalla parte della cinica e confortevolmente atea April), complotti governativi e… persino abusi su minori (come testimonierà la relazione catastrofica tra la fragile April e il suo papà dispotico e alcolizzato). Il tutto viene comunque sdrammatizzato dallo sviluppo di una trama sempre e comunque fantasy, quindi dichiaratamente ‘non impegnata e strappalacrime’; anzi, non saranno pochi i momenti di vero e proprio divertimento, soprattutto grazie alle battute di spirito della spalla di April, Corvo, l’uccello parlante. April intraprende il classico ‘viaggio dell’eroe’ (SPOILER INSIDE di solito sono orfanelli, la variante è che qui April ha entrambi i genitori vivi… almeno i genitori adottivi) alla ricerca di un manufatto basilare per mantenere l’Equilibrio tra i due mondi che per il bene di entrambi non dovranno mai essere riuniti. Durante tutta l’avventura saremo accompagnati dalle pillole di cinismo di April, dai suoi capricci e dalle sue continue lamentele per essersi cacciata in una faccenda molto più grande di lei. Ciò che questo cantastorie norvegese sa fare meglio è caratterizzare dei personaggi indimenticabili, imprevedibili e pieni di sfaccettature di cui talvolta ci si rende conto solo rituffandosi dentro la magnetica creatura targata Funcom. Da un punto di vista prettamente ludico i rompicapo sono generalmente semplici e intuitivi (sicuramente non per un neofita) a parte qualche enigma impossibile e il tutto fila via liscio in modo tale da permetterci di godere della storia.
Il vero punto forte della saga.
Ed è quindi da questi presupposti che partiamo per Dreamfall: una trama solidissima, degna dei migliori colossal (io direi altro che Avatar, soprattutto se consideriamo che si sta parlando di un videogioco) e persino superiore ad alcuni di essi, capace di tenerti col fiato sospeso, di farti sognare e fare miriadi di congetture e soprattutto di farti immedesimare nei personaggi. Chi, almeno per una volta nella sua vita, non si è trovato nello stato di apatia dal quale parte la nostra nuova eroina, Zoe Castillo?
Dreamfall è collocato storicamente dieci anni dopo The Longest Journey ed è approdato nei mercati di (quasi) tutto il mondo ben sei anni dopo il suo predecessore (come già detto, sarebbe improprio chiamarlo ‘prequel’).
Per i videogiocatori più accaniti potrebbe costituire una gran delusione, e tale potrebbe risultare anche agli ‘avventurieri’ più intransigenti, perché con Dreamfall siamo ben lontani dal classico ‘punta e clicca’ in stile "The Longest Journey". Avendo avuto tanto tempo per rimuginarci sopra (tempo nel quale la grafica ha fatto dei passi da gigante), Tørnquist e il suo team hanno rivoluzionato tutti gli elementi che avevano fatto di "The Longest Journe"y un classico intramontabile e avvincente… Ma si trattava pur sempre di un gioco classico, che aveva fatto risorgere un genere quasi dimenticato e snobbato da tutti, ma senza apportare delle innovazioni sostanziali nel gameplay (l’insieme delle dinamiche di gioco).
"Dreamfall" è quindi un azzardo, un salto nel buio e un’operazione rischiosissima, considerando comunque che il pubblico che fruisce di un’opera del genere è pur sempre elitario. Così, ci si è inevitabilmente divisi in due: tra chi (sicuramente più openminded, e quindi anche più aperto all’influenza del cinema sui videogiochi) ha urlato al capolavoro e chi ha sentenziato di trovarsi fra le mani una delusione, un prodotto potenzialmente ottimo ma stilisticamente immaturo e incompleto. Nel tirare le somme tenterò di essere imparziale per quanto mi è possibile: evoluzione o involuzione che la si voglia chiamare, una trasformazione nel gameplay c’è stata eccome.
"Dreamfall" ha incorporato nella sua struttura delle brevi fasi action e stealth (alla Metal Gear Solid, almeno in teoria) che intervallano le modalità da avventura. Anche queste, comunque, hanno subito un’evoluzione non da poco, poiché i personaggi adesso si muovono con i tasti direzionali e in un mondo tutto in 3D, a differenza di "The Longest Journey" in cui si aveva un affascinante contrasto tra le figure umane (e non!) in 3D (anche se graficamente lasciavano molto a desiderare) su fondali oltremodo evocativi. Da un punto di vista strettamente ludico, dopo un inizio rocambolesco e che fa ben sperare ‘chi più vuole giocare che godersi la storia’, il dinamismo del prodotto va affievolendosi sino a ridursi talvolta ad un mero ‘vai là per parlare con tizio e parte il filmato di dieci minuti’. I più intransigenti, quindi, coloro che vanno alla ricerca del rompicapo impossibile che ti tiene impegnato una vita resteranno terribilmente delusi : di rompicapo abbastanza impegnativo ce n’è soltanto uno (e può tenerti impegnato poco più o meno di una settimana) e gli altri sono ricorrenti ed è possibile superarli a tentativi. Le fasi action (per fortuna esigue, quindi si astengano gli appassionati di picchiaduro & co.) sono dannatamente penose, oserei dire le peggiori mai viste in un videogioco e contro i nemici più potenti le vostre mosse saranno totalmente inutili ; al contrario le fasi stealth, pur essendo molto semplicistiche (in generale, comunque, il gameplay di Dreamfall è elementare e intuitivo), sapranno regalarvi dei momenti di sano intrattenimento, ovviamente neanche lontanamente paragonabili con quello dei veri giochi stealth.
Ma nel suo osare, "Dreamfall", è pregevole anche da un punto di vista tecnico, perché l’assenza di enigmi troppo impegnativi permette una più semplice fruizione della storia. Non vi capiterà mai in tutte le vostre ore di gioco di perdere il filo perché vi siete totalmente bloccati.
Inoltre il vecchio ‘vai di là, prendi l’oggetto, poi trovane un altro e combinali’ non manca mai e questo non può far altro che piacere, ma è tutto ridotto all’osso e siamo ben lontani dai fasti di The Longest Journey e dalle sue combinazioni astruse.
Ma il vero punto di forza è… la trama. La trama di "Dreamfall: The Longest Journey" adombra ogni cosa, leviga tutti i difetti, ne esalta i pregi e soprattutto ti rende partecipe al dramma dei tre protagonisti sino alla fine. I vecchi giocatori di TLJ reagiranno con una diffidenza incerta e al contempo curiosa nei confronti di una April maturata, disillusa e intrappolata in un mondo che non le appartiene veramente; e difficilmente non s’innamoreranno della giovane Zoe, appena una bambina mentre la nostra cara April stava vivendo le fantastiche avventure di TLJ. Più difficile ci risulterà affezionarci al freddo apostolo-sicario Kian Alvane (e i fan avranno sussultato nell’udire questo cognome!) che scioglierà il suo cuore nella parte finale dell’opera. Tre destini legati indissolubilmente tra loro anche se apparentemente motivati da scelte diverse…
Con "Dreamfall" Tørnquist abbandona definitivamente il tono talvolta giocoso e scherzoso di TLJ per tessere un ‘polpettone drammatico’ (intendetelo nella migliore accezione possibile) e rielabora alcune delle tematiche di TLJ in chiave decisamente più matura. Zoe va in cerca del suo ex ragazzo scomparso mentre una ragazzina appare (ma solo ai suoi occhi) negli schermi di mezza Casablanca intimandole di salvare April ; April, intrappolata ad Arcadia dopo le vicende di TLJ, combatte per i Ribelli contro gli invasori di Marcuria, gli Azadi; Kian (che mi ricorda non poco il tizio di Assassin’s Creed, di cui mi sfugge il nome), l’apostolo Azadi, converte con la fredda lama della sua spada tutti gli eretici ed oppositori politici affinché siano accolti tra le grazie della sua Dea.
Tutti sono mossi dalla fede in qualcosa: Zoe ha fede nel suo viaggio che, oltre ad essere cominciato per salvare Reza, diventa anche una questione di principio. April ha una fede (anche se vacillante) nell’Equilibrio e nel suo destino, anche se ormai da tempo crede di non avere più uno scopo preciso. Kian ha una fede cieca nella sua Dea. Il rapporto tra fanatismo e religione torna più forte che mai, e porta con sé anche il razzismo da parte degli Azadi nei confronti dei maghi e delle creature magiche, tanto da confinarli in un ghetto al quale non sempre è possibile accedere.
Così, nel mondo della scienza va dipanandosi un’altra storia riguardante un complotto ai danni dell’umanità per mezzo di una droga che agisce a livello subliminale, nel mondo della magia, con il regime totalitario degli Azadi sullo sfondo, accade una serie di eventi inspiegabili (indiscutibilmente legati al mondo della scienza, anche se non tutti i legami ci sono ancora chiari) e che verranno chiariti con gli ulteriori seguiti. La storia ci lascia col fiato sospeso, il finale è aperto (mi sembra un avvertimento doveroso per chi non si voglia imbarcare in una storia che poi risulterà inevitabilmente spezzata), più aperto che non si può e… molto, molto toccante. Difficile che non vengano le lacrimucce al tredicesimo capitolo, quando metà del plot avrà un senso e una forma e gli sceneggiatori di questo capolavoro ci dimostreranno ancora una volta che i drammi e le fragilità degli esseri umani sono al centro di tutto e possono condizionare un mondo intero, anzi, più di uno.
In attesa della conclusione episodica (Dreamfall: Chapters) di tutte le vicende lasciate a metà da "Dreamfall: The Longest Journey", posso dire con certezza di avere tra le mani uno dei migliori ‘film interattivi’ (non me ne voglia Fahrenheit) mai realizzato, un’opera con il dono di trasportarti in due mondi assolutamente fittizi ma al contempo ‘tangibili’ che mai ti stancheresti di esplorare.
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