Prova a fuggire da Macondo.

Non puoi.

Chiudi il libro e sulla spalla senti la mano con la benda nera di Amaranta, seduto accanto a te c'è Melquìades lo zingaro, sorride senza denti e gira tra le mani la sua nuova invenzione, dal corridoio ti arriva la musica di Pietro Crespi.
Lo riapri, e la stanza ti si invade di formiche rosse e delle farfalle gialle di Mauricio Babilonia, in tasca trovi la polvere rossa che avevi nascosto dalla fame di Rebeca, fuori inizia a piovere, sulle pareti fioriscono begonie.

Ora che davanti al patibolo d'esecuzione ci sono io, penso alla storia di cent'anni di questa stirpe, uno scorrere di generazioni, divisa tra venti capitoli e l'assurda paura che un discendente possa nascere con la coda di maiale, divisa tra pagine che si moltiplicano, che invertono il tempo, lo dilatano, ma accorciano le distanze di un mondo di astrazione, nella mano di uno scrittore che tesse di un realismo magico i personaggi, intreccia vicende, terre, viaggi, un posto che ti si costruisce davanti agli occhi lentamente, dove tutto si muove e tutto resta fermo. Penso che l'Ostinazione ha il sapore delle trentadue rivoluzioni sollevate nella guerra civile, tutte perse. 

Esattezza é la parola giusta per la breve felicità del Colonnello Aureliano Buendìa e la piccola Remedios dalla pelle di giglio e dagli occhi verdi.

Che cos'è l'Amore me l'ha detto Ursula, i suoi occhi sigillati dalle tenebre la facevano inciampare sui suoi stessi passi, ma era l'unica a vedere ancora lo spettro di Josè Arcadio Buendìa sotto il castagno.
La Passione ha il colore del buio della notte, delle lenzuola umide su cui si stendeva Pilar Ternera, la donna che con la sua risata spaventava le colombe e che insegnò a Josè Arcadio per la prima volta come amare. La Stasi ha il suono di ogni goccia dei quattro anni, undici mesi e due giorni di pioggia, quando ciò che ci tiene in vita non è più nemmeno l'istinto di conservazione, ma diventa l'abitudine alla paura. 

La Rassegnazione somiglia al circolo vizioso dei pesciolini d'oro del Colonnello Aureliano Buendia, in un luogo dove la vita consuma e ripete sè stessa infinite e infinite e infinite volte, in un anello dove gira la stessa pioggia, gli stessi nomi, la stessa guerra, gli stessi fantasmi, dove tutto resta e niente se ne va mai davvero, e se anche i personaggi muoiono, ritornano sempre, dove anche la realtà sfuma i suoi contorni, si fa opaca, si fa nebbia, si perde nella peste dell'insonnia che colpì il villaggio e nell'alienazione di Josè Arcadio Buendìa.

Consapevole che anche mirando al cuore, potrei colpire l'unico spazio vuoto in mezzo al petto, so che nome dare a quel fondo di solitudine che riconosco nei miei occhi, quando mi specchio in una pozzanghera, seduta nel mio cerchio di gesso. E' lo stesso dei Buendìa.

 

(All'Aureliano Buendia che ho conosciuto io.)

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