Gattociliegia è un progetto strumentale di tre musicisti torinesi, Max Viale, Gianluca Della Torca e Fabio Perugia. Nel 1999 pubblicano il loro primo album, senza titolo. Nessun ep anticipa la loro nascita. Giungono così, soprendenti ma non inattesi. Si inseriscono in quel territorio musicale generico e ricchissimo chiamato “post-rock”. Quest’album (rinominato in seguito “Disco Giallo” o “#1”), è una sorprendente rivelazione. Un mix di sonorità acustiche ed elettriche (non elettroniche). Si comincia già a intuire un sound particolarissimo, l’anticipazione del capolavoro che sarà l’album successivo (“Disco Blu #2”).
La batteria di “Disco Giallo” è quasi sempre grancassa, bassa, non squillante come un tom. I piatti non esistono quasi. Le chitarre sono due, una elettrica e distorta che piacerebbe a Glen Johnson dei Piano Magic, l’altra classica e corposa che piacerebbe a Nick Drake (se la suonasse accordandola in La). Ma i Gattociliegia non sono niente di tutto questo. Sono qualcosa di nuovo, “qualcosa di completamente diverso”.
L’album sembra diviso in due. Diesus 99 (un intro di 30 secondi che anticipa Desert) e Attimi, sono esercizi di stile e interpretazioni intorno ad un non precisato folk. Mexicat è lo spartiacque. «Ok, questo è quello che potremmo fare, ma questo è quello che vogliamo fare»: Lisio Decadence inizia il discorso. F è un intermezzo, un “ritorno di fiamma” all’inizio dell’album, ma è solo un momento. Luglio 92 erompe come un Evento. È bellissima, commovente e finalmente denota l’identità dei Gatto molto chiaramente: la potenza della distorsione della chitarra al servizio della ferrea volontà di trasmettere un intimità, un calore. Una lotta contro il “Grande Freddo” di cui parla Lawrence Kasdan nell’omonimo film.
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