Questo mio scritto vuole ambire al titolo di recensione più inutile di Debaser. So di avere avversari agguerriti - voglio dire, esistono tredici recensioni del capolavoro ottimo massimo A Matter Of Life And Death - ma offro sul piatto l'unico disco di una band nu metal belga di ottava categoria scioltasi vent'anni fa nell'indifferenza più assoluta, mai più riformatasi nemmeno quando una reunion non si negava neanche alla cover band degli AC/DC del figlio del salumiere, e totalmente e giustamente dimenticata persino dalle mamme dei membri.

Oggi quindi parliamo degli imprescindibili Gazzoleen e del loro fondamentale Tinybears, album del 2001 poi riedito (per motivi oscuri che fatico a comprendere) in una Night Edition due anni più tardi. Altri due anni e si sciolgono nel 2005, a cadavere del nu metal già puzzolente e decomposto. E quindi com'è questo Tinybears? Voi starete già esclamando ad alta voce Una merda!, e avete ovviamente ragione, ma il brutto è che non si tratta neanche di uno di quei dischi così osceni che ci si diverte a deridere indicandoli col dito come fossero Quasimodo, tipo il disco dei Korn con Skrillex, ecco. No, Tinybears è un lavoro così inutile che non vale neanche la pena stroncarlo.

È un album ben prodotto, ben confezionato, con la sua brava copertina di grafica 3D in perfetto stile Y2K: sembra insomma tutto studiato a puntino per piacere ad un fan del nu metal. E qui casca l'asino: non c'è un atomo di personalità, un brandello infinitesimale di fantasia. È tutto copiato qua e là dalle band preferite dei teenager del 2001 e assemblato in un minestrone patchwork senza capo né coda. C'è un sacco di Korn, c'è i ritornelli pop dei Papa Roach, c'è i chitarroni ribassati dei Coal Chamber, c'è la canzone di sentimento alla Creed, c'è il pezzo ispirato ai Limp Bizkit e quello atmosferico alla Deftones. È tutto talmente scimmiottante che non si capisce se vuole essere un patetico - benché sacrosanto - tentativo di saltare sul carrozzone del nu metal (all'epoca all'apice della sua esposizione mediatica), un semplice e innocente Ehi che ficata 'sti americani, rifacciamoli uguali identici oppure un omaggio calligrafico all'intero genere. In quest'ultimo caso il paragone più prossimo che mi viene in mente è quel cialtrone di Nargaroth e il suo tributo idiota Black Metal Ist Krieg, ma qua mancano sia una storicizzazione adeguata del nu metal sia una capacità di comprensione del testo sufficiente a carpire i meccanismi e i segreti del successo delle band sopra citate. Ci si limita agli aspetti più superficiali e immediatamente riconoscibili: qua ci mettiamo lo scat growlato di Jonathan Davis, qua ci mettiamo due scratch a caso, eccetera. Non c'è una direzione precisa, a differenza della tipica band derivativa di serie Z che decide di copiare pedissequamente una, massimo due band specifiche: ai Gazzoleen basta ingozzarsi di qualsiasi chitarrone grosso passasse su MTV in quel periodo. Il ragazzo si applica tanto, ma è scemo. Persino il nome della band è bruttissimo, e in italiano assume involontariamente pure un suono volgarotto e pecoreccio.

Volendo si può pure aggiungere una vaga sensazione di spreco: alla band non manca un certo gusto melodico, qualche passaggio - prendetela con le pinze - è orecchiabile e un paio di canzoni, se vi piace il genere e avete bocca buona, possono pure arrivare ad essere gradevoli. L'iniziale "Filter", pubblicata come singolo, aveva potenziale radiofonico, e la stupidissima "Jelle-Fish" diverte col suo trascinante e insistito FAT FUCK FAT FUCK.

Naturalmente questa pochezza non basta a salvare Tinybears, ma sarebbe inutile pure stroncare totalmente un album assolutamente innocuo, che può persino essere apprezzabile dai completisti terminali del nu metal; esistono ancora, esatto, specie in tempi recenti dove un certo tipo di estetica grottesca derivata dal nu metal e dal mall-goth sta tornando di moda su internet. I Gazzoleen, d'altro canto, si sono condannati da soli all'oblio più inappellabile.

Il voto è sulla simpatia.

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