Il film inizia con due tizi, un bianco – Checco Zalone – e un autista porta sfiga di colore. Ad un tratto i due si devono confrontare con una tribù di selvaggi, meglio, di autoctoni. A questo punto, visto che la situazione si fa preoccupante per il culo dei due, Checco Zalone, accomoda il suo su un provvidenziale ceppo ligneo e inizia a narrare. Narra narra, il film porta verso il finale filantropicamente corretto, giusto per parafrasare l’onnipresente ‘politically correct’. Cosa c’è tra l’inizio del racconto di Zalone e il prefinale strappalacrime con finale (tutto può essere) a rischio di denuncia da parte degli animalisti? È presto detto: in mezzo c’è la disavventura di un impiegato.

Ovviamente se qualcuno vuole sapere per filo e per segno la trama ha altre occasioni webbacee per informarsi. In questo frangente interessa fare qualche riflessione sui personaggi e i temi che albergano in questa pellicola. Intanto, Checco Zalone, al secolo Luca Pasquale Medici. Se siete adusi a frequentare la Puglia, saprete che in ogni micro paese di questa bella regione dell’ex Magna Grecia, c’è un Checco Zalone. Ovviamente, questo non toglie niente all’attore: la fortuna, nel mucchio dei vari ‘similcheccozalone’, ha scelto lui e l’ha tirato fuori dall’anonimato. Buon per lui. Il problema si pone, invece, per il successo che il popolo sta decretando a “Quo vado?”.

Insomma, che c’è da ridere sul tema del ‘posto fisso’?

Io non ho il posto fisso e non potrei convivere con gente che conta gli anni che mancano per la pensione, Tfr o il capoufficio rompicoglioni. Detto questo, se il posto fisso fosse una soluzione che lo Stato potesse maneggiare, perché no? Visto che – vergogna, ipocriti! – chi sta ventilando da tempo di eliminarlo, sono proprio coloro che ce l’hanno fississimo quel cazzo di posto! Politici e affini. Va bene, esistono degli impiegati che non hanno voglia di fare niente: la legge dei grandi numeri prevede sempre delle mele bacate. E allora? Meglio il ‘caporalato’ pugliese che tratta il lavoratore da bestia? Meglio i commercialisti che pagano 300 euro al mese, nella civile Puglia, i ragionieri? Meglio considerarli, quelli non dotati di voglia lavorativa, nell’ambito degli eventi fisiologici, dico io. O qualcuno li vuol fucilare? Se sì, si faccia avanti e lo faccia lui. O magari, rieduchiamoli, che è meglio per tutti. Chi li vuol fucilare e gli allergici al lavoro.

Gli italiani ridens, nascosti dal buio delle sale cinematografiche – al nord e al sud –mi ricordano quegli imbecilli che, parola autorevole di Umberto Eco, infestano il web nascosti sotto un nickname: da sotto quell’ombrello scrivono giudizi superficiali e cretinate su tutto, libri, film, musica. Quella gente che ride nei cinema non capisce di essere se stessa la protagonista che fa ridere: bisognerebbe uscire dalla sala afflitti da come si viene trattati dal Potere che – è lui che permette che pensiate siano gli ‘altri’ i protagonisti da sfottere nei film – vince ancora una volta.

Va be', andiamo a chiudere. Ieri, a Virus condotta da Porro, Giulio Base, Lino Banfi e un Vanzina brother hanno coralmente sollevato Checco Zalone nell’empireo dei grandi del cinema di tutti i tempi. Imbarazzante, porca miseria! E non sono i soli. Mica per Checco Zalone che è simpaticissimo, ma per il gotha di chi predica da sempre la Cultura alta. Comunque “Quo vado?” è un film comicamente triste.

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