Mite, non particolarmente portato al dialogo e dotato di un senso dell'umorismo decisamente tagliente, questo era principalmente il carattere di George Harrison, eterna spalla dell'amico Paul e ragazzino curioso e invadente agli occhi di John. La carriera di questo personaggio decisamente fuori dai canoni più classici del rock non rende degnamente giustizia a un talento che poteva essere sfruttato in modo più continuo dal mondo della musica, invece la storia ci ha consegnato un favoloso triplo LP e qualche altro buon album, troppo poco.
"Living In The Material World" è il secondo disco realizzato da Harrison nel 1973, all'epoca non fu accolto benissimo in quanto considerato inferiore al precedente. Harrison realizza comunque un buon lavoro, in equilibrio fra spiritualità indiana e brani mossi, non mostra ancora l'eccessivo peso di sostenere da solo il suo destino musicale, non ha né il talento imprenditoriale di McCartney né il carattere estroverso e fastidioso di Lennon per affrontare discografici e concerti e ben presto verrà schiacciato dall'industria musicale.
Ascoltare però "Give Me Love" è un piacere, bellissima canzone semplice nel suo messaggio d'amore "...Give me love / Give Me Peace On Earth / Give Me Light / Give Me Life / Keep Me Free From Birth /...". Musicalmente riuscite anche "Sue Me, Sue Blues", la title track costruita su una ritmica gradevole e un intervento di sax molto riuscito con una voce di Harrison ancora in grado di rimandare ai fasti di "Something" e "Here Comes The Sun". Meditate nelle loro armonie e nei testi "The Light That Has Lighted The World" e "Who Can See It", riuscita ancora molto bene "The Lord Loves The One" con Harrison a sottolineare con la sua chitarra mai troppo invadente la bella melodia. Decisamente beatlesiana "Be Here Now", una meditazione cosmica di George scandiata da deliziosi giri di chitarra acustica e pianoforte, lenta nel suo incedere, forse troppo tanto da far venire in mente l'altra grande canzone su temi religiosi, "Long, Long, Long" su "The Beatles", canzone dedicata niente meno che a Dio. Brano più veloce con un bell'attacco "Try Some Buy Some", rovinato poi e reso pacchiano dall'arrangiamento orchestrale di Phil Spector con tanto di arpe e archi melensi.
Disco vivamente consigliato per conoscere meglio il beatle George nei suoi anni post Beatles, sconsiglio invece i lavori successivi, "Dark Horse" e "Extra Texture", che vedono un Harrison decisamente spento realizzare lavori privi di interesse.
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