1. Gesualdo Bufalino (Comiso, 15.11.1920 – Vittoria, 14.06.1996) e la Diceria.

Nelle intemperie della guerra Gesualdo Bufalino patisce la tisi e sopporta una lunga degenza: dapprima a Scandiano e, successivamente, a Palermo. Nel 1981 viene pubblicata la sua opera prima, Diceria dell’untore. Intervistato da Leonardo Sciascia, il comisano ricorda: il libro «l’ho pensato e abbozzato verso il ’50, l’ho scritto nel ’71. Da allora, una revisione ininterrotta: fino alle bozze di stampa. Mi è venuto dall’esperienza di malato in un sanatorio palermitano: negli anni del dopoguerra, quando la tubercolosi uccideva e segnava ancora come nell’Ottocento» [1].

2. Maschere e piume

Lo scrittore adopera «una lingua archeologica, defunta» [2], in ossequio, peraltro, «a quel pregiudizio mediterraneo (o quantomeno suo e mio), secondo cui l’interiezione e la pletora aggiungono alle parole – e ai climi, alle mimiche, ai cibi – non solo opulenza ma credito, come in un abbigliamento magico, dove maschere e piume, più ridondano, meglio si esaltano e si danno forza a vicenda» [3].

Le pagine trasudano umori mortiferi: sangue, piscio e varechina. Nella tragedia infuria la lancia del Pelide. Lettere che respingono e attraggono, che feriscono e leniscono. «Un esubero di parole, un gusto di cantarsi e compiangersi, di cui io per primo (ve n’accorgerete) non ho saputo guarire» [4].

«L’universo verbale è l’unico di cui veramente mi fido. Nomina sunt consequentia rerum? È vero il contrario, invece, e le cose sono invenzioni e sogni, e le parole epitaffi di sogni» [5]

3. Il castello è in vendita. Le persiane sono staccate

«Sulla Topolino amaranto si va che è un incanto nel ‘46» [6]. Coff, coff. La musica viene interrotta e sopraggiunge la tempesta, preannunciata dal brontolio della tosse: «si sentiva salire alle labbra un irrefrenabile zampillo di rossa schiuma e di morte. Un sangue immenso, seminato di bollicine rotonde» [7].

La Diceria racconta la convivenza di alcuni reduci di guerra nel sanatorio di Palermo. Giovanni, Angelo, padre Vittorio, Sebastiano, il piccolo Adelmo; eppoi, il Gran Magro, Marta.. La falce incombe su queste teste. Vite che colluttano, ca s’ ammiscunu, sul precipizio. Nella disperazione affiora la nature der sache.

Le nostre esistenze, fragili e minuscole, che galleggiano sul mare Imbrium dell’insensatezza. «Oscilla fra contrattempi e incastri senza numero il gioc’a tombola della nostra vita. Non si conosce mai chi si vuole, ma chi si deve o chi capita, secondo che una mano sleale ci rimescoli, accozzi e sparigli, disponendo o cassando a suo grado gli appuntamenti sui canovacci dei suoi millenni» [8].

La realtà, il sogno, dio, l’amore, gli squarci di felicità che scivolano come sabbia dalle nostre mani. Tutto è vero, tutto è falso. «Io solo sono vera e sarò finché vivo. Voi, gli altri, siete appena barlumi e finzioni che sento respirare e parlare al mio fianco. E la storia non riguarda che voi, io non so cosa vuol dire. Capiscimi: nei miliardi di secoli passati e futuri io non so trovare evento più importante della mia morte. E tutte le carneficine e derive di continenti e scoppi di stelle sono soltanto canzonetta e commedia al confronto di questo minuscolo e irripetibile cataclisma» [9].

In questa nebbia dove sei ora? Dove cammini? In quale notte? «Angelo diceva che la morte è un paravento di fumo fra i vivi e gli altri. Basta affondarci la mano per passare dall’altra parte e trovare le solidali dita di chi ci ama» [10]. Tutto è vero, tutto è falso.

* * * *

Chiudo il libro e interrompo il flusso di questi presagi di morte. Occorre ritornare alla vita. La seduzione del nulla è inutile, «le mezze fedi, le false bandiere. Mi ci sarei rassegnato, che altro potevo fare?» [11].


[1] G. Bufalino, Diceria dell’untore, Bompiani, Milano, 2016 (ed. orig. Diceria dell’untore, 1981), p. XVIII.

[2] Ibidem, p. 201.

[3] Ibidem, p. 11.

[4] Ibidem, p. 201.

[5] Ibidem, p. 203.

[6] P. Conte, La topolino amaranto, in Paolo Conte, RCA, 1975.

[7] G. Bufalino, Diceria dell’untore, cit., 132.

[8] Ibidem, p. 31.

[9] Ibidem, pp. 117 e 118.

[10] Ibidem, p. 21.

[11] Ibidem, p. 138.

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