Meyerbeer non è per tutti, decisamente no, e anche chi proprio non lo digerisce spesso ha argomentazioni almeno in parte condivisibili; talento "costruito" più che naturale? Può essere. Ampolloso e prolisso? Beh, a volte effettivamente si. Ruffianotto e talvolta grossolano? Di certo non aveva l'aulicità di Bellini. E via discorrendo. Eppure, pensate a questo: stiamo parlando di un compositore il cui lascito è stato ad un soffio dall'oblio totale, eppure ancora oggi Giacomo Meyerbeer è una delle figure più controverse e dibattute tra gli aficionados del genere; serve forse altra prova per dimostrare che, comunque la si voglia pensare sulla sua musica, non è affatto una reliquia polverosa e men che meno una nota a margine? Senza Meyerbeer l'opera avrebbe preso una piega assai diversa, e moltissimi capolavori di altri compositori non sarebbero probabilmente mai esistiti.

Ma perchè lui, tedesco di origine, si italianizzò il nome? Prima di tutto per vocazione, la sua idea di musica e di teatro era assai divergente dal gusto teutonico, perfettamente incarnato nel primo '800 dal suo quasi coetaneo Carl Maria Von Weber; così, dopo un timido inizio di carriera in patria, decise di trasferirsi in Italia per "imparare il mestiere", a contatto con i grandi maestri del belcanto, soprattutto Rossini, suo modello di riferimento per eccellenza (dato il successo travolgente ottenuto successivamente nel suo periodo francese, in Germania più d'uno se la legherà al dito). Qui rimase per poco più di un decennio, creandosi una discreta reputazione, fino a quando nel 1824 alla Fenice venne presentato questo opulento, sfarzoso e, soprattutto, magnifico melodramma eroico in due atti, con cui arrivò la tanto attesa consacrazione internazionale e, di conseguenza, anche la fine del periodo "formativo". Perchè poi decise di trasferire lo show in Francia? Penso per smarcarsi dai suoi ingombranti "maestri" e per sfruttare al meglio le potenzialità di una scena emergente, molto più "vergine" di quella italiana, dove potersi sviluppare artisticamente con più libertà ed imporsi come leader, cosa che poi effettivamente avvenne.

Rispetto a Robert le Diable, di sei anni successivo, il Crociato in Egitto mostra un Meyerbeer ancora molto "rossiniano", soprattutto come impostazione delle parti vocali e non ancora innovativo a livello strutturale; pur essendoci già idee da Grand Opera, fondamentalmente il Crociato è un continuo susseguirsi di arie, cabalette, duetti e scene corali, niente di clamorosamente rivoluzionario, ma ascoltando più approfonditamente è già ben percepibile la personalità stilistica del compositore, nell'orchestralità particolarmente ricca ed elaborata, nelle geniali intuizioni teatrali, assai imitate successivamente, e anche nella durata assai imponente, circa tre ore e mezza in una rappresentazione senza tagli, divise in due lunghissimi atti. A proposito di geniali intuizioni teatrali, la prima scena dell'opera è un bellissimo, maestoso coro di schiavi che ricordano la patria e la libertà perduta; vi ricorda forse qualcosa? Più in generale ricorda anche che Meyerbeer e Verdi sono stati i due operisti che, più di chiunque altro, hanno assegnato al coro un ruolo di assoluto protagonismo, conferendo così ai propri lavori ulteriore impatto scenico e grandiosità. Ma, oltre ad anticipare tendenze future, il Crociato getta anche uno sguardo al passato, dato che il ruolo del protagonista, Armando d'Orville, è l'ultimo scritto espressamente per un soprano maschio, aka un castrato, cosa che all'epoca era già considerata demodè e provocò qualche controversia; tuttavia, era ancora in attività uno degli ultimi divi di questa "specie", tale Giovan Battista Velluti, e Meyerbeer decise di scrivere questa parte per la sua voce. Tra l'altro, Armando è probabilmente il primo esempio del tipico protagonista meyerbeeriano "debole", nel senso di indeciso, diviso tra due opposte passioni e per questo atipico, complesso e interessante: altri ne seguiranno, da Robert le Diable fino a Vasco da Gama ne L'Africaine.

Da un punto di vista drammaturgico, la vicenda è interessante perchè propone un amore impossibile inserito nel contesto generale di uno scontro tra civiltà, con saraceni e crociati rappresentati rispettivamente dalle figure del sultano Aladino e del gran maestro Adriano di Montfort: la cosa notevole è che si tratta di due personaggi perfettamente speculari, entrambi alternano grandi slanci di nobiltà e generosità a momenti di implacabile intransigenza settaria, e a nessuno dei due viene attribuita alcuna superiorità morale sull'altro; Meyerbeer, che in fatto di intolleranza e bigotteria ne sapeva qualcosa anche livello personale, non ha mai assegnato alla religione quel ruolo salvifico che spesso ricopre nell'opera, proponendo invece una visione molto più prosaica e realistica. Citavo prima Carl Maria Von Weber, anch'egli grandissimo ed influentissimo, ma cosa c'è di moderno e di attuale, a livello di contenuti, nel suo Freischutz? Oserei dire nulla, mentre la produzione meyerbeeriana abbonda di spunti di riflessione, nascosti in un tripudio di gran scene, balletti, colorature ed effetti speciali.

A proposito, Meyerbeer è veramente "tanto", un po' in tutti i sensi, e non sempre si è dell'umore giusto per apprezzarlo, perlomeno non in un'opera intera, e nel Crociato manca ancora quella ricchezza creativa e quel linguaggio compositivo pienamente personale e sviluppato tipico delle sue Grand Operas francesi; come si dice in gergo, qui la struttura risulta ancora piuttosto formulaica, e tuttavia quest'opera non manca certo di varietà stilistica: innanzitutto, è estremamente melodiosa e orecchiabile, e come tutta la musica di Meyerbeer possiede un fascino dionisiaco, immediatamente inebriante. Contiene momenti di grandissima dolcezza (la serenata del primo atto che grandualmente si evolve in un trio, squisita remiescenza barocca), tanti duetti drammatici e maestose scene corali; assolutamente magistrale il finale del primo atto, con i cori dei crociati e dei saraceni che partono separatamente per poi arrivare a risuonare all'unisono, sia ad inizio scena, negli auspici di pace ed amicizia che nel finale drammatico e bellicoso.

Il Crociato è un'opera che richiede tantissimo dal punto di vista vocale: virtuosisimi, una marea di cabalette; basti pensare ad Adriano, che per risultare credibile richiede un tenore di notevole peso vocale, con un timbro "eroico" e al tempo agilità e abilità di coloratura; difficilissimo trovarla al giorno d'oggi una voce così, e la penuria di interpeti all'altezza è un problema che vale anche per opere ben più "blasonate" di quel periodo; Norma, Lucia di Lammermoor, Semiramide e tantissime altre. Ed ovviamente c'è il rompicapo di Armando, ruolo troppo "alto" per i moderni controtenori, e che quindi, si deve affidare ad un soprano en travesti, perdendo così la particolarità originaria del personaggio. Per rimanere fedeli alle intezioni originarie del compositore, l'unica opzione è trovare uno "scherzo della natura" come Michael Maniaci, soprano maschio "naturale", caso rarissimo. A lui si affidata la Fenice, lo stesso teatro che ne ospitò la prima assoluta, in questa ripresa datata 2007, pubblicata in DVD. Per quanto riguarda questa rappresentazione, perdono più che volentieri i limiti vocali del cast e la scenografia decisamente troppo scarna e stilizzata per un'opera sontuosa come il Crociato, l'operazione merita a applausi a prescindere per il coraggio dimostrato nel riproporre e divulgare un'opera di notevole pregio e valore storico, cruciale punto di svolta nel percorso artistico di questo titano dimenticato.

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