Incerto, incompleto, sfocato, sfumato, confuso, indeterminato, approssimativo, sfuggente.

Queste alcune delle accezioni che generalmente associamo al termine vaghezza. Il superlativo indurrebbe quindi all'idea d'un ritratto oltremodo indefinito, tanto da sciogliersi in un immagine nebulosa, incapace di veicolare alcuna percepibile informazione visiva. Un ritratto che possiamo quindi solo immaginare, sulla scorta di quel che ci pare di intravedere, destinato ad assumere dettagli e contorni in base alla nostra percezione ed all'elaborazione che ne deriva.

Potrebbe essere una plausibile "lettura" del senso di un titolo tanto evocativo quanto enigmatico quale quello scelto da Trovesi e dai suoi due compagni di viaggio per un disco che conferma, a distanza di alcuni mesi dai primi ascolti, una natura sopraffina e distillata, un costante lirismo non privo di accenti sottilmente ironici, una qualità complessiva di indiscutibile eccellenza.

Quali che siano le sorprese che ancora attendono di svelarsi entro il temine del 2007, il disco licenziato dal terzetto per l'ECM troverà certamente posto nella mia ipotetica classifica di fine anno.

"Vaghissimo Ritratto" raccoglie e condensa alcune caratteristiche d'un approccio alla materia sonora che Trovesi (clarinettista, sassofonista e compositore) ha declinato, nel corso d'una carriera che ha preso avvio negli anni '70, in opere personalissime, dove si celebravano nozze tra musiche apparentemente distanti. Immergendo la sensibilità d'una formazione accademica ed uno spirito "sperimentatore" nella rilettura del patrimonio popolare europeo ("Dances"- 1985) oppure, alla guida del funambolico ottetto, giungendo a riconoscimenti internazionali ("From G to G" '92) o utilizzando un tema misconosciuto e "snaturato" (di origine medievale e di probabile natura "oscena" tramutatosi e tramandatosi nei tre secoli successivi in forme sacre) per allestire, sorretto da un piglio ruspante e carico di amabile "irriverenza", una sorta di viaggio nel tempo e nelle strutture compositive, come ne "Les Hommes Armes" ('96). O ancora regalando, in coppia con il fisarmonicista Gianni Coscia, uno degli esempi, ad oggi più gradevoli e raffinati, della rilettura d'una tradizione popolare tanto ricca quanto, almeno in quegli anni, trascurata o snobbata (Radici '92)

Cito quattro dischi ai quali sono particolarmente legato (e che cosiglio senza indugio) ma la produzione di questo signore è ricca di ulteriori e degnissimi sviluppi, sia nell'ambito di una riconoscibilissima sonorità, soprattutto del suo ormai inconfondibile clarinetto, sia in quello della maturità compositiva, testimoniata anche dalle esecuzioni di grandi orchestre internazionali di sue composizioni originali. Un percorso che ha continuato ad incrociare fonti e stimoli diversi e del quale una delle ultime tappe è ottimamente descritta nella recensione di Hal presente in DeBaser per un disco dedicato alla rilettura di Kurt Weill ("Round About Weill" ?2005). Mentre il sodalizio con Coscia proseguiva con "In Cerca di Cibo", anch'esso Ecm.

In "Vaghissimo Ritratto" la consolidata collaborazione di Trovesi con il raffinato e poliedrico pianismo di Umberto Petrin è affiancata dagli equilibratissimi interventi di percussioni ed elettronica ad opera di Fulvio Maras. Il disco, nel quale prevale un'attitudine alla sottrazione ed al delicato ma dinamico interplay tra sonorità limpidissime, presenta la rilettura di un eterogeneo canzoniere che, conciliando Monteverdi e Palestrina con Jacques Brel e Luigi Tenco, ruota intorno alla figura d'un autore dell'800, a me ignoto, Alfredo Piatti, omaggiato attraverso citazioni e composizioni originali.

Dicevo dell'attitudine alla sottrazione: nell'ampio spazio sonoro generato dai tre, la qualità dei brani, ogni sottile sfumatura del timbro del clarinetto alto, le misurate e suggestive sollecitazioni percussive ed elettroniche, la lirica precisione del pianoforte, alcuni splendidi fraseggi, hanno modo di "risuonare" in ogni istante, brillando come singole perle isolate e lucenti, anche dopo ripetuti ascolti.

Una ricchezza che si dipana minuziosa ma incessante, assumendo velature a tratti astratte e "sperimentali", in alcuni momenti quasi "etniche", altrove abbandonandosi ad una felicissima "cantabilità", in composizioni che sembrano, come sempre in Trovesi, lasciare naturalmente spazio all'indole intimamente jazzistica del musicista, verso scarti di improvvisazione e zone franche rasentanti uno spirito "free".

Ho anche usato il termine distillata, riferendomi alla musica di questo disco: pare infatti provenire da una fonte purissima ma non diafana, rigogliosa di ricchezze accumulatesi nel tempo e meravigliosamente riproposte con sensibilità e spirito modernissimi: di quella modernità che non s'appella al nuovo, ma che è in grado di risultare classica al suo stesso apparire.

Voto: 4,5

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