Se il Sessantotto è ormai storicizzato e su di esso esiste una abbondante bibliografia e filmografia, a prescindere dal loro valore storico artistico o testimoniale, i Settanta continuano ad essere una specie di buco nero.
Fino ad oggi pochi sono i film intelligenti e riusciti esplicitamenta dedicati ad essi, soprattutto ai nostri anni di piombo e alla strategia della tensione. Eppure furono anni straordinari sotto parecchi punti di vista, durante i quali l'Italia, molto politicizzata e caratterizzata da una forte democrazia partecipata, da un lato affrontò la crisi petrolifera, l'inflazione al 25%, la ristrutturazione industriale e la informatizzazione della produzione (e, quindi, la crisi della classe operaia di tipo fordista e l'inizio del precariato di massa), il terrorismo di stato, nero e rosso; dall'altro fece grandi conquiste sociali (lo Statuto dei lavoratori, le Regioni, la parità sessuale e il nuovo stato di famiglia, il divorzio e molte altre) e culturali. Furono anche anni di gioia e di divertimento, come testimoniano i grandi comici dell'epoca (ma anche il cinema trash, che sta vivendo una vera e propria rivalutazione), gli indiani metropolitani, l'autonomia sociale e le nascenti radio libere. Oggi però il senso comune è un altro e prevale un ricordo cupo, anche se inesatto o sfocato. Si ricordano solo l'inflazione, le bombe, le sparatorie. Potenza del pensiero unico massmediatico.
Due grandi registi dedicarono due loro belle oprere al tema del terrorismo rosso, quando esso era già entrato in crisi, ma non era stato vinto del tutto: Bertolucci, con "La tragedia di un uomo ridicolo" e Amelio, con "Colpire al cuore". Molto interessante il film di Amelio, in quanto segnato dal malessere di tutta un'epoca e dal conflitto fra padre e figlio.
Film crepuscolare, dolorosamente trattenuto, tutto imperniato sulla figura del figlio, un adolescente troppo giovane (chissà, forse c'è una vaga eco delle Confessioni di un figlio del secolo, di De Musset) per poter essere un terrorista o un fiancheggiatore, come il padre, un noto docente universitario; ma troppo in anticipo per poter essere un tipico qualunquista consumatore del craxismo della "Milano da bere". Non può chiudersi nel suo privato e pensare solo a quello e ad essere alla moda. Come tutti gli adolescenti cerca di capire il mondo tutt'altro che facile che lo circonda, ma utilizza una griglia interpretativa senza sfumature. O giusto o sbagliato, o bene o male. Il padre, le sue idee, le sue frequentazioni, le sue amicizie vengono così condannate senza appello. Amelio non giudica, non prende posizione né per le ragioni del padre né per quelle del figlio; si mantiene ad una giusta distanza, come è stato detto (in questo film più che mai la forma è sostanza): si veda il sapiente uso del carrello. Così facendo invita noi a farlo, a schierarci: Come giudicheremo le scelte del padre? e la severità del figlio? Sapremo contestualizzarle?
Amelio ci dona non solo un film raffinato, ma anche un quadro "morale" di quegli anni, così come in seguito ci darà con "Il ladro di bambini", un assoluto capolavoro, la miglior descrizione della declinante Italia del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), pronta per il berlusconismo.
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